Per noi Cervelli ribelli nulla cambierà
Questa sera sono andato a votare in una scuola, ho pensato che chiunque vinca le elezioni si troverò a dover affrontare un problema tra i tanti: quello della vita scolastica di persone neuro divergenti. Finora devo con tristezza ammettere che le chiacchiere e le promesse su questo tema mi hanno sommerso, da parte di chiunque e di qualunque credo politico. Mi sento sconfitto su questo fronte, anche se molto mi sono battuto e molto mi sono illuso. Questo avevo scritto solo una settimana fa, me lo ha ricordato poco fa un messaggio con una storia che pubblico sotto alla mia riflessione. Qualcuno domani festeggerà, altri cercheranno di galleggiare comunque, altri penseranno alla riscossa. Per noi Cervelli Ribelli cambierà assolutamente nulla.
———————————————————-
Il ritorno alla scuola di ragazzi mentalmente più fragili non interessa alla collettività. E’ comprensibile e sarebbe sbagliato porlo come problema, troverei più facile fare appassionare chi legge al dramma dell’imminente estinzione del Saola, o bue di Vu Qang, piuttosto che alle lancinanti traversie che deve affrontare, in questo periodo, un famiglia che abbia in carico un figliolo con cervello fuori standard ma in età scolare.
Non intendo accusare genericamente di spietatezza chi non conosce questo problema, anzi sono più che convinto che la lacuna di civilizzazione sia più profondamente radicata nell’istituzione scolastica, intesa come anonimo apparato che gestisce umanità, quanto possa esserlo nelle persone che frequentano le aule scolastiche, come docenti, assistenti, alunni, corpus dei familiari che seguono, accompagnano, socializzano, organizzano collette e festicciole.
“La scuola italiana ha una legge che tutela la disabilità che tutto il mondo ci invidia.” Questo lo sentiamo ripetere da anni, però questo mantra non convince più noi genitori che abbiamo visto come è, nella realtà dei fatti, garantito il diritto all’inclusione scolastica dei nostri figli neuro divergenti.
Riuscire a mandare a scuola un figlio non autonomo dal punto di vista cognitivo, con in più problemi nella gestione della relazione, comporta una programmazione molto più complicata di quanto si possa immaginare.
Il trasporto è fondamentale. Non basta però assicurarsi per tempo con l’amministrazione preposta che un pulmino giallo possa passare ogni giorno a prelevarlo, cosa già non facile. E’ ancora più importante assicurarsi che a bordo ci siano persone con un minimo di esperienza, per assicurare il trasporto sereno di una persona che potrebbe andare in crisi oppositiva solo se il pulmino cambia improvvisamente il tragitto prestabilito, se cambia il posto a sedere assegnato dal primo giorno, se a bordo ci sono altri passeggeri che strepitano e fanno casino come è normale facciano bambini e ragazzi.
Quante ne volete! Qualcuno dirà… Rispondo che per un disabile psichico e relazionale queste precauzioni sono indispensabili come la pedana per far salire una carrozzina, o un assistente vocale o un una guida per un non vedente. Paradossalmente però sembrano “capricci” di persone semplicemente poco educate dai genitori a gestire le loro “irregolarità”.
Il modulo si ripresenta in ogni passaggio successivo della vita scolastica, dal primo giorno di scuola primaria alla “maturità”, che crea il sollievo generale in un non espresso direttamente ma palpabile: “di questo finalmente non dovremo più occuparci!”.
Ora aspetto le repliche di chi mi accuserà di esagerare e mi inviterà a conoscere meglio quella scuola modello, quell’angelica insegnante di sostegno, quell’ammirevole classe che ha sollevato in una nuvola d’amore il pericolo di ogni possibile stigma quel suo fortunato figliolo, pazzerello ma felice.
Posso citare quanti casi volete di genitori disperati a cui le scuole hanno detto che il loro figliolo non possono prenderlo, che non hanno mai avuto il piacere di scambiare due parole utili con gli insegnanti infastiditi per il fardello che gli è toccato sopportare in una classe di piccoli geni, con i genitori dei “normali” uniti a coorte per arginare il grave scompenso nel seguire i programmi che quella presenza “ritardata” comportava per la loro eccelsa prole.
Ecco non ci provate nemmeno a dire che esagero. Affogate il mio vaneggiare nel silenzio, sarà meglio per me e per tutti voi. (LA STAMPA/SPECCHIO 18 settembre 2022)
POI MI ARRIVA QUESTO MESSAGGIO…
Volevo farti leggere questa storia e sapere se puoi fare qualcosa per aiutare Maria Grazia, è una mia amica. In questi giorni ha attirato la mia attenzione il post su Facebook di Maria Grazia, che per ribellarsi alla carenza di inclusione della scuola ha deciso di non farla frequentare a Jacopo suo figlio, perchè sa che questo sarà un altro anno di sofferenza, in cui sarà costretto a stare da solo in una stanza con l’insegnante di sostegno come l’anno scorso.
Sara De Carli del portale Vita ha raccontato la sua storia: “La testimonianza di Maria Grazia Fiore, insegnante e mamma di Jacopo, 16 anni, autistico non verbale: quest’anno ha optato per l’istruzione parentale. «Non è una scelta, è una resa. Ma non si possono fare le battaglie sulla pelle dei nostri figli. Forse ho sacrificato Jacopo ai principi di un sistema inclusivo in cui ho sempre creduto, prima di tutto come insegnante. A questo punto da genitore ho ceduto. Per rispetto di Jacopo e della sua dignità».
«Non è una scelta, è una resa. In questo momento soprattutto è la ricerca di una tregua, perché Jacopo ha perso troppo». Maria Grazia Fiore è la mamma di Jacopo, 16 anni, un ragazzo autistico non verbale. Maria Grazia è anche insegnante: una di quelle super motivate, appassionate, con tanto di master, funzione strumentale e animatore digitale ai tempi del Piano Nazionale Scuola Digitale. Non solo, Maria Grazia è anche una esperta di disabilità: ha redatto e condiviso moltissimi materiali in CAA, la comunicazione aumentativa alternativa, ha tradotto in italiano il sito di Arasaac, che mette a disposizione più di 10mila pittogrammi in 20 lingue diverse, è nel team della Cei che lavora sull’inclusione e la partecipazione attiva nella chiesa delle persone con disabilità. È una che all’inclusione ci crede. Che alla scuola inclusiva ci crede. E invece quest’anno per suo figlio ha dovuto arrendersi a una realtà diversa, l’istruzione parentale. «Andando contro ogni principio di buon senso e di inclusione sociale, quest’anno Jacopo resterà a casa invece che andare a scuola. Ci siamo arresi alla scuola parentale. È una sconfitta del sistema, prima ancora che nostra, ma sempre sconfitta è. Tenerlo a casa per proteggerlo dalla scuola, con molta, molta amarezza, ma ci siamo giocati pezzi di salute e di benessere psichico troppo importanti in questi anni. Brindiamo idealmente al sistema scolastico inclusivo “più bello del mondo”: noi ci siamo arresi. In bocca al lupo a chi resiste»: questo il testo del suo post su Facebook, nei giorni scorsi. Non che il percorso scolastico di Jacopo sia stato sempre rose e fiori – «È una vita che formo insegnanti di sostegno e educatrici di Jacopo, che troppo spesso arrivano senza sapere nulla di autismo e che cambiano ogni anno», racconta – ma lo scorso anno, il primo alla secondaria di secondo grado, è stata «una deflagrazione».
Resa e non scelta, la prima sottolineatura che per Maria Grazia è fondamentale fare è proprio questa: «Come genitore e come docente mai e poi mai avrei fatto questa scelta. Sono mortificata come madre e come insegnante. So benissimo che tenere Jacopo a casa per un anno – auspicabilmente sarà solo per un anno – significa privarlo dell’unico periodo della sua vita in cui ha garantita un minimo di socialità. Non nascondiamoci le cose, per un autistico non verbale la realtà è questa: c’è un minimo di socialità finché c’è la scuola. Nelle scelte c’è qualcuno che vince, quando va bene addirittura si vince entrambi: qui invece perdiamo tutti, questo mi è chiaro e deve essere chiaro. Ci perde Jacopo, ci perdiamo noi genitori, ci perde la scuola, ci perdono i compagni. Però è pur vero che l’anno scorso Jacopo lo ha passato tutto nell’aula di sostegno da solo, tendenzialmente davanti a un tablet, con tutti i comportamenti-problema che ne sono derivati: perché Jacopo è consapevole di cosa sia la scuola e della differenza che fa stare in classe e stare da solo nell’aula di sostegno. Figuriamoci che all’inizio hanno utilizzato i simboli di CAA per scrivere “Aula di Jacopo”… Ovviamente l’ho fatto immediatamente togliere», racconta Maria Grazia.”…….Nei commenti al suo post tanti altri genitori hanno confermato la situazione disperata dei ragazzi che hanno difficoltà ma vorrebbero ricevere anche loro un’istruzione, spero che un giorno si raggiunga veramente l’inclusione e non si debba lottare più per un diritto che invece dovrebbe essere garantito.
Maria