Il bambino autistico e la prima comunione
Ripropongo qui il mio pezzo pubblicato da La Stampa riguardo la vicenda del bambino autistico che il parroco avrebbe escluso dalla prima comunione assieme ai suoi compagni. Il mio è stato l’unico punto di vista dissonante rispetto alla comune lettura che si fosse trattato di un caso di discriminazione, o come minimo di poca sensibilità. Non sono certo io a dover farmi difensore del corretto protocollo sacramentale, figuriamoci se è un problema che mi vada di affrontare. Mi stupisco solo della mancanza di un dibattito rispetto a quella che secondo me resta una lettura molto superficiale e non certo, sempre a parere mio, funzionale a una corretta inclusione sociale di bambini con autismo.
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A un bambino autistico di 10 anni il parroco non ha permesso di fare la prima comunione assieme agli altri suoi compagni. Un titolo così sintetizzato suscita immediato sdegno, io però mi sento di dire che, in questo caso, non vorrei associarmi al coro degli indignati.
Accade a Silvi, nel Teramano, i genitori raccontano che il prete avrebbe valutato più opportuno per il piccolo fare una cerimonia in differita, solo perché durante le prove ha avuto un momento di irrequietezza. Per il religioso, un possibile ripetersi di questo episodio, avrebbe compromesso lo svolgimento della funzione eucaristica per gli altri 40 comunicandi.
Madre e padre non hanno accettato la proposta e si sono rivolti a un altro parroco, che pare fosse molto più malleabile del collega, tanto che in poche ore ha organizzato la cerimonia, a cui è seguito il pranzo in un ristorante di Pescara.
Sarebbe troppo semplice concludere che nella storia c’è un prete cattivo e discriminatore, a cui contrapporne uno buono e inclusivo. Mi prendo tutta la responsabilità di trovare superficiale tale semplificazione, soprattutto da padre che per decenni si è battuto di persona contro ogni discriminazione verso persone neuro divergenti, come il proprio figlio.
Non è nuovo il caso di una disputa tra genitori che vorrebbero che al figlio autistico fosse impartita comunione e cresima, in contrasto con parroci che non vedono sempre con entusiasmo di doverlo fare.
Da un punto di vista totalmente laico trovo che il sacerdote abbia piena facoltà di stabilire se un bambino abbia le caratteristiche di piena consapevolezza per ricevere un sacramento. Non voglio addentrarmi in ambiti che non mi competono, però se per accostarsi alla comunione occorre seguire un percorso di preparazione spirituale, che ricordo essere lungo e non superficiale, significa che questo passaggio richiede strumenti di conoscenza e consapevolezza.
Il parroco, che ha proposto una cerimonia individuale e posticipata, racconta che il bambino durante le prove ha avuto quella che noi genitori sappiamo essere una crisi oppositiva. Don Antonio Iosue spiega quando ha deciso di proporre una cerimonia a parte per il bambino autistico: “dopo aver constatato la vivacità e l’insofferenza del ragazzo, che ha buttato a terra candele, sull’altare urlava e non si riusciva a fermarlo- aggiungendo che- bisogna poi sempre considerare l’espressione da parte del giovane alla minima volontà e coscienza ad assumere l’eucarestia”.
Io non ho fatto fare la comunione a mio figlio Tommy, mi è bastato il casino che ha messo su il giorno in cui si comunicava il fratello maggiore di due anni. Si è messo a strillare “Aiuto!” nel momento cruciale della cerimonia e ho dovuto portarlo fuori perché già gli altri genitori mi guardavano storto. Riguardando il filmato in famiglia c’abbiamo riso per anni, dicendo che ci sarebbe voluto un esorcista. Non ci siamo più posti il problema, non riesco a immaginare il desiderio di comunicarsi o la consapevolezza di cosa rappresenti un sacramento nel mio ragazzo, a cui mi è stato impossibile spiegare persino cosa significhi morire. Ammesso che esista un Padreterno che premia i giusti e punisce gli empi, davvero non lo vedrei giudice spietato di Tommy non comunicato.
Altra cosa è reclamare che un bambino autistico sia partecipe alle feste con gli amici, alle allegre mangiate in compagnia, alle gite scolastiche. Giusto e sacrosanto chiedere ai suoi coetanei di lasciare un po’ del loro illimitato spazio di espansione nella vita anche a lui, che ha maggiori difficoltà a relazionarsi con il mondo.
Sarà facile per tutti oggi scrivere nei propri social: “vergogna dove è finita la carità cristiana?” Chiedendo scomunica per chi ha voluto negare una bella cerimonia a un bambino fragile. Io, in piena sincerità, non riesco a condannare quel parroco. Allo stesso tempo comprendo bene anche il desiderio dei genitori di pretendere per il figlio tutto quello che è disposizione dei suoi coetanei, compresa la prima comunione con l’abito bianco, con la candela in mano, con i canti e le preghiere, i fotografi, i parenti vestiti a festa, l’orologio, la catenina, la penna stilografica, poi il pranzo al ristorante, le bomboniere, la torta e tutto quello che probabilmente rende quel giorno unico e indimenticabile.
Mi resta solo il dubbio se fossero certi anche di quanto per quel bambino fosse veramente importante la parte sostanziale di tutto questo.
Può anche essere che io non sia capace di capire da che parte soffi lo Spirito, penso solo che nostro compito sia pretendere una vita terrena il più possibile felice per i nostri figli dai cervelli ribelli. Sono più che convinto che la beatitudine nella loro ipotetica vita ultraterrena se la stiano già conquistando, ogni giorno, proprio nell’affanno di dover gestire un mondo popolato da alieni che tollerano appena il loro esistere, purché non si noti troppo.
(da LA STAMPA del 16/maggio/2023)
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Aggiungo, dal momento che lo cito nel pezzo, la prova del demonio nel giorno della prima comunione di Filippo che è nel grido di aiuto emesso da Tommy. Ricordo che fummo cacciati dalla chiesa dalle pie donne che ravvidero in quel segnale l’impellente bisogno di un esorcista.
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