Marina Viola e Luca insieme per 2000 miglia da Boston a Chicago
Marina Viola è in viaggio con il figlio Luca. Sarà un viaggio a tappe di 2000 miglia da Boston A Chicago. Molto più che una semplice vacanza, come ogni famiglia con un figlio neuro divergente a carico anche per Marina e Dan la migliore maniera per evitare la segregazione è prendere ogni semplice transumanza come un’avventura. Un po’ si riderà un po’ si imprecherà, un po’ si invidierà chi non ha problemi come i nostri. Soprattutto si tirerà avanti un altro anno in cui c’è anche il problema di dovere lavorare il doppio per quello che tutto il resto del mondo considera relax. Il suo messaggio mi è arrivato ieri sera e senza fallo pubblico la prima tappa e aspetto le successive (GN)
Ciao amico! Io e Dan stiamo facendo un viaggio in macchina con Luca. Boston-Chicago con varie tappe. Ho deciso di scrivere una specie di diario di bordo per il mio blog. Se ti interessa, posso mandartelo anche per per noi autistici.
2000 MIGLIA CON UN MARZIANO. PRIMA TAPPA: ROCHESTER, NY
Organizzare un viaggio a casa nostra non è facile. Prima di tutto, i tre figli hanno idee diverse su come passare l’estate: Luca vorrebbe stare nel suo letto a guardare video di Sting; Sofia è a Chicago e comunque non ci caga e Emma, che ha solo 16 anni, pur di non stare con noi ha accettato due lavori estivi: uno durante il giorno e uno la sera. Poi ci sono i cani (due), il gatto (uno, ma stronzo) e una decina di pesciolini che comunque devono essere sfamati. È per questo che di solito stiamo nella nostra casetta di campagna e basta.
Quest’anno, invece, abbiamo deciso di rompere le barriere autistiche e portare Luca a Chicago in macchina, da sua sorella. Emma sta a Cambridge da sola, nella speranza che al nostro ritorno non sia già dipendente da droghe pesanti. Si occuperà di Margot, il gatto, e dei pesci. I cani invece stanno a Becket con Logan, una persona di genere non ben definito che per un’irrisoria somma (aggettivo ironico. Ndr) di 800 dollari, sta a casa nostra e si becca Fiona e Rosie.
Il viaggio in macchina da Becket a Chicago è lungo 1400 chilometri; quindi, abbiamo deciso di fare due tappe all’andata e tre al ritorno.
Il programma di venerdì era il seguente: aspettare Logan, che sarebbe arrivato verso le 10, spiegargli due cose, tipo che Fiona ha un’infezione a un’orecchia e deve prendere antibiotici e robe varie, e arrivare a Rochester, NY nel primo pomeriggio. La macchina era pronta, con valigia, due borse e una chitarra, il pieno di benzina e tre bottiglie d’acqua.
Alle 11 abbiamo cominciato a mandare messaggini a Logan per chiedere quando sarebbe arrivato. Alle 11:10 abbiamo provato a chiamare: telefono spento. Alle 11 e un quarto ero convinta che si fosse sfracellato in macchina nel venire da noi. Non sarebbe la prima volta: anni fa, quando andammo in vacanza, la dogsitter venne investita da una macchina, venendo da noi. Non ricordo come trovammo una sostituta all’ultimo momento. Alle 11:45, avevo già annunciato: “Vabbè, dai, andate voi due e io sto a casa con i cani”. A mezzogiorno la pressione sanguigna era a livelli preoccupanti. A mezzogiorno e mezzo, ha chiamato Logan: “Mi cercavate? Ah, non avevo capito l’orario, sto arrivando. Voi andate pure”.
La vacanza, dunque inizia così: con il dubbio che Logan non si presenti, con la pressione alta, con i nervi a fior di pelle. Ma, dopo qualche chilometro, abbiamo cominciato a rilassarci. Luca era felice come una Pasqua, e ad ogni McDonalds urlava: “French fries! French fries!”, che gli abbiamo comprato quasi subito perché ci mancava pure che Shmoo si innervosisse.
L’autostrada attraversa paesaggi stupendi: colline verdi, qualche fattoria qua e là, le mucche al pascolo e i nomi dei paesi attorno, tutti italiani o europei. Abbiamo passato Siracusa, Verona, Corfù, Parma, addirittura un paese che si chiama Milano. Ora, è vero che questa è una nazione molto vasta, e che dopo un po’ si fa fatica a trovare nomi per tutti i paesini, ma chiamare Verona un paesino del cazzo nel mezzo delle fattorie dello stato di New York mi sembra azzardato. È anche vero che pur di sembrare europea, questa parte dell’America venderebbe la Statua della Libertà. Ma transit.
Dopo circa cinque ore di macchina, siamo finalmente arrivati a Rochester, la città che ha per anni ospitato la Kodak, che quando eravamo piccoli era una figata, ma che adesso quasi non esiste più. Per cui è una città decadente, imprigionata in un passato molto ricco che adesso è trasandato: ville enormi abbandonate, povertà, e ancora molto orgoglio. L’Airbnb che abbiamo affittato è una casetta su una strada alberata, molto carina. Costruita nei primi anni del Novecento, la casa è stata ristrutturata mantenendo le bellezze dell’epoca: infissi di legno, parquet scricchiolante, una sala da pranzo attaccata a quella della televisione. Spaziosa, tenuta bene, ma la mia sensazione è stata di una casa sola, senza nessuno che le facesse compagnia, e un po’ mi ha fatto tenerezza.
Per quanto riguarda la città, non siamo riusciti a vederla perché uno dei limiti del viaggiare con Luca è che non gli piace fare passeggiate, soprattutto dopo cinque ore di macchina. Inoltre, per andare a un ristorante, bisogna fare delle ricerche ben precise: il menù deve avere pasta, pizza, bistecche impanate e patatine fritte, altrimenti niente, non si va. Bisogna anche stare attenti che Shmoo non rubi il mangiare nel piatto delle persone accanto a lui e accettare il fatto che più di tanto non riesce a stare seduto, per cui bisogna rincorrerlo tra un tavolo e l’altro.
Luca si è subito adattato allo spazio nuovo, buttandosi nel letto di quella che per una notte sarebbe stata la sua camera, annunciando senza mezzi termini: “Shut the door. I want to be alone”. Perfetto, perché anche noi eravamo stanchi. Abbiamo ordinato un cinese mediocre, abbiamo comprato gli ingredienti per farci un Negroni, e poco dopo siamo andati a dormire.
Per un attimo mi è davvero sembrato che questo benedetto autismo che ci ha tenuti sempre con la testa bassa, si possa in qualche modo domare, conquistare. Sono andata a letto stanca, un po’ brilla, ma molto felice.
(testo di Marina; foto di Dan)
MARINA VIOLA
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