Pensare Ribelle

Luca a casa sua

Il figlio di Marina Viola sembra soddisfatto della sua nuova residenza. Ancor più lo è sua madre

Dopo un finesettimana iniziato giovedì pomeriggio, finalmente ieri Luca se ne è tornato a casa sua. Sì, a casa sua. E sì, finalmente. Sono ormai tre mesi che vive in una bellissima casa blu in mezzo alla campagna e a un’oretta da noi, con altri tre compagni, ognuno autistico a basso funzionamento a modo proprio.  John ama stare in mutande a guardare la televisione, Justin invece se ne va in camera sua appena torna dal centro; David, grande e grosso, ama giocare con il pongo e siede sempre su uno degli sgabelli della cucina. Nessuno di loro parla. A seguirli c’è una squadra molto affettuosa del Ghana, che li vizia, li sfama, li veste, li lava, li porta a fare le passeggiate, li spinge sull’altalena, li fa divertire. Ognuno dei quattro ragazzi ha la propria camera.

Quella di Luca è stata addobbata su misura: poster di James Taylor, dei Police, di Frank Sinatra, di Oh Brother Where Art Thou, foto di famiglia di cui a lui non può fregar di meno, ma cosa fai, non metti le foto di famiglia? Ha una poltrona a dondolo, un letto matrimoniale, un tappeto rotondo tutto colorato fatto da me all’uncinetto. Tre finestre grandi, un bagno di fianco a camera sua, di fianco al quale c’è una stanza per fare il bucato. Di fronte a lui, c’è la stanza di David, a cui va a chiedere aiuto quando gli si impalla l’iPad.

Malgrado sia stata una decisione molto sofferta, un allontanamento pieno di lacrime (mie), sensi di colpa (miei), terrore (mio), Luca non ha fatto una piega: l’abbiamo lasciato lì un martedì mattina, ci ha detto bye bye ed è finita lì. Per lui. Io ho continuato a stare male per un paio di settimane, anche se ogni volta che lo vado a trovare, dopo tre minuti, quel mio figlio non verbale viene fuori con delle frasi sorprendenti: “Go away. I want to be alone. Shut the door”, che tradotto in italiano vuol dire vattene fuori dalle palle. Lui lì sta bene, e io insisto ad andarlo a trovare almeno una volta alla settimana, sicura di essere cacciata. È un buon segno, mi dicevano tutto all’inizio, ma io me ne stavo in macchina a piangere come un vitello.

La coordinatrice ci ha chiesto quante volte avremmo voluto portare Luca a casa, per organizzarsi con i turni degli assistenti. “Siccome David va il secondo e il terzo finesettimana del mese, volevo sapere se anche per voi andrebbe bene. Per noi sarebbe meglio per via, appunto, dei turni”. Quindi, va benissimo.

Questa settimana sono andata a prenderlo giovedì, perché poi l’ho portato in campagna, dove ci aspettava mio marito. Da giovedì a domenica, Luca ha dato il meglio di sé: sempre addosso a me, ha rubato quantità industriali di cracker e biscotti; ha versato il latte in parte nel bicchiere, ma soprattutto per terra; è stato sveglio tutta la notte, e ci ha svegliato alle 5; ha otturato il bagno; ha distrutto con i denti il lenzuolo e il copriletto; ha buttato una fetta di pizza per terra, ci ha camminato sopra, e se l’è mangiata. Sarà che ormai non sono più abituata alla routine quotidiana, ma domenica mi sono svegliata pensando che finalmente se ne sarebbe tornato a casa. Mamma stronza? Può darsi, anzi, sicuramente. Ma ventisette anni di Luca mi hanno abbassato la soglia della pazienza, la voglia di passare parte della notte nel suo letto immobile e scomoda per paura che si svegli e di continuare a pulire. Siccome lui comunque sta benissimo a casa sua, non mi sento in colpa quando penso che è bello vederlo ma è ancora più bello quando poi riesco a stare tranquilla.

Marina Viola

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http://pensierieparola.blogspot.com

Marina Viola porta il quaranta di scarpe. Vive a Boston e ci fa il diario di quella che pensiamo essere l’ altra parte della luna. Che significa per noi autistici vivere negli Stati Uniti? Potete farle anche voi.

Redazione

La redazione di "Per Noi Autistici" è costituita da contributori volontari che a vario titolo hanno competenza e personale esperienza delle tematiche che qui desiderano approfondire.

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