Cosa fare

La città autistica

Le istituzioni non parlano volentieri di autismo, soprattutto c’è una rimozione collettiva sul fatto che i “bambini autistici” diventino adulti. Capisco quanto possa essere imbarazzante dover ammettere che concedere la dignità di cittadini, nel pieno dei loro diritti, anche a cervelli ribelli non è un problema con soluzioni facili o immediate, soprattutto se affrontato con il presupposto di assicurare una vita socialmente attiva a una parte cospicua della popolazione, piuttosto che continuare ad alimentare le strutture di “segregazione”, per evitare che i neuro divergenti possano alterare l’equilibrio dei cervelli standard, basato sulla loro sicurezza di avere l’unica chiave di interpretazione del reale.

Statisticamente in Italia il carico di una persona autistica pesa su seicentomila famiglie, moltiplichiamo questa cifra almeno per quattro se vogliamo avere un’idea di quante persone siano coinvolte in questa gestione, tra familiari, operatori, abilitatori, clinici.

Il compito di richiamare l’attenzione sul destino che parrebbe ineluttabile dei propri figli resta un onere dei genitori, ammesso che abbiano fiato per farlo, o che abbiano i mezzi per essere ascoltati. L’ultimo tra quelli che provano a riempire il vuoto è Alberto Vanolo, un professore di geografia politica ed economica all’università di Torino, diventato uno studioso di neuro divergenza da quando gli è toccato in sorte un figlio autistico.

Il suo tempo è diventato il tempo di suo figlio, come tanti di noi quindi diventa la sua ombra e comincia a declinare il suo sapere in una chiave diversa. Nel suo libro “La città autistica” (Einaudi 2024) crea sostanza all’indicibile. Lo fa con straordinaria profondità di analisi, partendo dalle immaginabili difficoltà di accompagnare il suo Teo, sensorialmente inconsueto, in luoghi pensati e progettati per contenere umanità neurotipica.

Teo si trasforma nell’oracolo di suo padre. Si badi questo succede sempre quando un genitore inizia a respirare suo figlio. L’umano “atipico” è una nuova chiave di interpretazione del mondo che ci ha sempre banalmente avvolto, in particolare il professore di geografia politica tocca con mano il paradosso di gran parte delle modifiche agli spazi urbani che globalmente l’uomo ha realizzato. Attraversare le città tenendo per il braccio un figlio autistico, rivela le contraddizioni che si sono stratificate con la crescita grottesca delle città, che le rende ostili alla nostra serena convivenza. Non solo però, il punto di vista “irregolare” dell’autistico stravolge la nostra consuetudine, guidandoci alla scoperta di percorsi invisibili ai più. Un autistico è alla ricerca continua di benessere, deve stemperare la sua ansia, il suo sentirsi estraneo tra persone che abitano un mondo ostile, proprio perché rumoroso, accecante, ruvido e labirintico. 

 È così che Alberto Vanolo azzarda il progetto di una sua “utopia”, seguendo il tracciato ideale per suo figlio, come fosse la deriva psicogeografica dei Situazionisti. Sperimenta attivamente lo scombinare delle destinazioni d’uso nelle strutture costruite per chi vive lo spazio diversamente da loro. Sa bene chi ha un figlio autistico, quanto marciapiedi, passaggi pedonali, scale mobili, porte girevoli diventano trappole nelle città impossibili che si è costretti ad attraversare, sempre attaccati a una persona spesso gigantesca, però fragile come una figurina di vetro soffiato.

 “Non sapevo fosse handicappato. La prossima volta me lo dica prima”. È la chiosa del tutore dell’ordine chiamato dalle “persone per bene” per intervenire sull’oscenità del padre professore che, nell’angolo di un porticato, cambiava il figlio autistico che si era bagnato.

Le barriere urbane per noi più invalicabili non sono però solo quelle architettoniche, la spietatezza e l’ignoranza, di chi quelle città coabita, sono spesso l’ostacolo su cui più dolorosamente ci schiantiamo. Una città più abitabile per Teo e quelli come lui sarebbe un paradiso per tutti gli altri. (LA STAMPA del 14/02/2024)

Gianluca Nicoletti

Giornalista, scrittore e voce della radio nazionale italiana. E' presidente della "Fondazione Cervelli Ribelll" attraverso cui realizza progetti legati alla neuro divergenza. E' padre di Tommy, giovane artista autistico su cui ha scritto 3 libri e realizzato due film.

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