Divergenti nella storiaPensare Ribelle

Il fratello cervello ribelle di Carmelo Samonà

Vivo, ormai sono anni, in un vecchio appartamento nel cuore della città, con un fratello ammalato. Nessun altro abita con noi, e le visite si fanno rare. Inizia così il romanzo “Fratelli” di Carmelo Samonà, pubblicato nel 1978, finalista al Premio Strega di quell’anno, acclamato dagli intellettuali dell’epoca e rapidamente dimenticato. Eppure veniva trattato un tema importante: quello della gestione familiare della malattia mentale che, nello scorrere del tempo, è rimasto fermo alla progettualità, ai desiderata.

Circola, attorno a noi, un’aria da trasloco imminente. La casa, che aveva ospitato l’intero nucleo familiare, si svuota lentamente. Gli spazi, privi del calore e della funzione originaria, diventano un’immagine cristallizzata del tempo passato, quasi un’istallazione museale, un luogo per andare a riposare, per ripararsi e per il contenimento. Quando è all’aperto, il fratello tende ad allontanarsi dalla strada principale attirato da vie laterali, che percorre anche parzialmente, costringendo lo scrittore a seguirlo; ma, nel rincorrerlo per le infinite traverse, anche lui viene attratto dalle vetrine degli artigiani, dai cortili dei vecchi palazzi, dall’odore della città vecchia, reso pungente e nauseabondo dall’umidità. È un’immagine metaforica che rimanda all’esperienza di chi si prende cura di una persona con disturbi mentali e/o del neurosviluppo, costretto a intraprendere percorsi a latere del vivere comune, ma che, pur nella solitudine, dispiegano emozioni e stupore.

Quando mio fratello si muove, gli spazi ne risultano ulteriormente ampliati e sordi. All’interno della casa, lo scrittore ne osserva i movimenti, suddivisi in un procedere in avanti delimitando i confini dello spazio con il dorso delle mani o la punta dei polpastrelli e nell’avanzare con grandi salti, dividendo e distinguendo l’ambiente in un sopra e in un sotto. Io fingo di assecondarlo per studiarne da vicino il comportamento; osservo la successione dei suoi movimenti, lo pedino a distanza, talvolta lo fermo bruscamente e gli propongo soluzioni concrete con la speranza che ritorni di nuovo con me, nel mio mondo orizzontale, stabile e piatto. Questi spostamenti, definiti dallo spazio domestico, rappresentano i cosiddetti Piccoli Viaggi; altra cosa sono i Grandi Viaggi, piccoli universi aleatori nei quali si trasferisce anche per lunghi periodi e dove a me è dato il privilegio di entrare, ogni tanto, e di abitare con lui, ben noti a chi vive a contatto con il disagio mentale e la neurodivergenza. Sono degli allontanamenti provvisori dal presente, immersi in un silenzio che, sebbene appartenga alla struttura fondamentale dell’uomo, viene combattuto con ogni mezzo, riempito di parole e azioni, in quanto siamo incapaci di accettare l’eco interno dei nostri pensieri.

La comunicazione tra i due fratelli è complicata e, per certi versi, paradossale. Nei suoi discorsi si passa per continui tranelli: se comincia a negare una cosa, può darsi che voglia affermarla, se mi interroga ansiosamente forse mi sta dando risposte. Talvolta è metaforica: spesso mi indica un fiore o un oggetto per rivelarmi uno stato d’animo. È proprio la frustrazione derivante dall’incapacità di penetrare nel significato di quel linguaggio che spinge lo scrittore alla ricerca di senso, che può non esserci. Se ad esempio, mentre sto per uscire da solo, si avvicina e mi sussurra tre frasi come queste, a brevi intervalli l’una dall’altra: “Tu non hai paura: bravo, fratello!” “Correvo in un prato” “Vattene via” subito sono tentato di approntarne una versione coerente nella mia lingua. È un errore comune dato dalla generale tendenza a trovare una spiegazione e una giustificazione a ciò che è fuori dai normali standard comunicativi. Più il caregiver è una persona dall’intelligenza vivace, più spasmodica è l’analisi; invece, sarebbe più giusto e salvifico non darsi tante spiegazioni e accettare l’incomprensibilità e l’insensatezza della situazione.

Per qualche mese scrutai tutti i nostri movimenti e comportamenti […] tenni conto dei percorsi principali e dei secondari, delle zone di riposo e di sosta, dei tempi destinati al pranzo, alla cena, alla passeggiata in città. […] Quando potei disporre di un prontuario minuzioso e completo, passai alle pratiche esecutive: allestii cartelli con scritte ammonitrici che si fondavano sui calcoli appena fatti; le corredai di disegni a penna e a colori, che ci raffiguravano durante l’igiene del corpo, durante i pranzi e le cene […] e mi detti a tappezzarne le pareti, e soprattutto le porte, perché fossero ben in vista in ogni luogo e in qualsiasi ora del giorno. Siamo lontani dal 1991 quando Carol Gray definì l’uso delle storie sociali per l’autismo, ma queste poche frasi testimoniano quanto sia importante l’osservazione per pensare strategie pedagogiche efficaci. La motivazione è, per certi versi, egoistica: la necessità di superare comportamenti ripetitivi e oppositivi, apparentemente senza motivo, per una convivenza accettabile. Risolvere i piccoli problemi del quotidiano aiuta sia il caregiver, allentandone la pressione emotiva, che la persona neurodivergente che trova così definita, in tempi e modi, la complessità dell’ambiente che lo circonda.

Invece di tirarlo fuori dalla folla per metterlo in salvo, sgusciai all’improvviso dietro un’edicola che era a pochi passi di là, e mi nascosi […] Sbirciavo senza essere visto. La vergogna è un sentimento che si manifesta in tutte le circostanze fuori norma. Ogni cultura ha sviluppato una vergogna di fondo, legata a traumi e situazioni del passato, così come ha generato delle strategie per affrontarla. Il disturbo mentale è ancora una condizione che crea imbarazzo, talvolta timore. Tuttora viene operato un progressivo isolamento del malato e di coloro che se ne prendono cura, rinchiusi a vita in spazi sociali dai muri di gomma. Ma, prima o poi, arriva il momento di venire a patti con il proprio lato oscuro, con la brama di felicità nonostante tutto, con la voglia di chiudersi la porta alle spalle. Quando ormai lo scrittore è materialmente fuori dalla sua prigione emotiva, l’imprevisto ne ridefinisce ruoli e dà l’avvio ad un nuovo inizio. Un attimo prima che la situazione di mio fratello precipitasse, venne a liberarci la pioggia. […] Mio fratello rimase al centro della piazza ormai solo e fradicio d’acqua, mentre io, finalmente rassicurato, uscivo dal mio nascondiglio.

gabriella la rovere

Gabriella La Rovere

Redazione

La redazione di "Per Noi Autistici" è costituita da contributori volontari che a vario titolo hanno competenza e personale esperienza delle tematiche che qui desiderano approfondire.

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