Pensare Ribelle

Quando Alain Delon chiedeva di poter morire

Il mondo ha celebrato la morte di Alain Delon, ogni mito per essere confermato deve necessariamente morire. Mi sono ricordato che a gennaio il tema di Delon che voleva trapassare per imperitura gloria terrena occupò per un giorno le cronache. Io ne scrissi per LA STAMPA il 25 gennaio, qui ripropongo quella mia riflessione, è un attestato di ribellione alla decadenza, che oggi acquista maggiore senso sicuramente. (GN)


Il vecchio Alain Delon avrebbe espresso il desiderio di mollare definitivamente gli ormeggi. “Le Parisien” racconta che a luglio avrebbe detto al medico che lo visitava: “Voglio morire, la vita è finita”.
L’uomo più bello del mondo non vuole sopravvivere oltre alla sua naturale decadenza. Ha 88 anni, un’età che non sempre è necessariamente sinonimo dell’essere giunti al traguardo estremo di una vita, Delon è però afflitto dagli strascichi di un ictus, il medico lo ha trovato molto debole, non perfettamente lucido e con notevoli difficoltà a esprimersi.
Lui però incarna un mito. All’eroe nessuno perdona di subire le angherie della sua natura umana, dovrebbe scomparire all’apice del suo fulgore e non mostrarci nel suo corpo disfatto e la sua mente appannata quanto sia transeunte la gloria mondana.
Non è facile vedersi avvolti in un involucro di carne con ben chiara la data di scadenza, quando per il mondo intero si è allucinati con un volto luminoso da dio della bellezza. Delon sopravvive bilocato in due corpi, coesistenti e antitetici.
Il corpo del Delon bello tra i belli del cinema è quello che conferisce merito a chi se ne appropria. Infatti è conteso tra i figli Anouchka, Anthony e Alain-Fabien, che si guardano in cagnesco per le rispettive successioni. La figlia addirittura, a detta dei fratelli, avrebbe già progettato di portarlo in Svizzera per pagare meno tasse quando erediterà.
Come se non bastasse c’è un’altra aspirante al possesso, l’ex assistente più giovane di vent’anni Hiromi Rollin, che proclama di essere sua compagna e mira al matrimonio. Il secondo corpo di Delon è quello attuale, di cui invece nessuno vorrebbe farsi carico, se non fosse indissolubilmente legato al primo, che resterà immortale nelle cineteche e in ogni sua declinazione digitale. È banalmente il corpo di un vegliardo che non riesce ad alzarsi dalla sedia, si sposta lentamente, appoggiandosi alle stampelle. Il bel tenebroso si trasforma quindi in un caratterista da gag comica politicamente scorretta, quando al solo nominargli la sua aspirante moglie risponde alzando il dito medio.
Per tutto questo è comprensibile che abbia pensato di volersi liberare del fardello di ogni suo istante residuo, sempre e fatalmente trapassato dal lancinante tempo dell’attesa, che per lui potrebbe corrispondere al “nero” che segue i titoli di coda.
Servono motivazioni più nobili ed eticamente condivisibili per cui un essere umano possa dichiarare di essersi stufato di vivere? Esiste un tribunale che possa veramente decidere la gradualità di dolorenecessaria per dare il “permesso” di uscire dal mondo? Il grado diintollerabilità a questo dolore si misura solo in sofferenza fisica? O può essere considerato unmotivo equivalente, per volersi sottrarre a un quotidiano che divora a morsi, anche lostruggimento devastante che descrive Francisco de Quevedo nel definirsi “Un fu, un sarà, un è già consunto.”?
Ricordo una serata a cena da amici, più o meno un quarto di secolo fa. C’era Paolo Villaggio in grande forma che parlava dell’infelicità di Vittorio Gassman. “Bisognerebbe chiamarlo ecomunicargli che Scorsese lo vorrebbe come protagonista del suo prossimo film-ci raccontava- poi però bisognerebbe dargli subito da mangiare una polpetta avvelenata, sarebbe il miglior regalo!”
Erano tempi in cui era tollerato anche giocare sul cinismo più macabro, oggi farebbe orrore solo pensare che questa possa essere una battuta. Per fortuna ci siamo evoluti e nulla di simile ammetteremo mai come possibile atto di umanità.
Forse però nemmeno è umanamente civile fare barriera, in nome di principi superiori, se qualcuno quella polpetta vorrebbe mangiarsela in sua totale e lucida determinazione. Pur anche se fosse per illudersi di poter eliminare la pena del decadere, per dissolversi nel suo splendore passato, che
diritto abbiamo noi di impedirglielo? (LA STAMPA del 25 gennaio 2024)

Gianluca Nicoletti

Giornalista, scrittore e voce della radio nazionale italiana. E' presidente della "Fondazione Cervelli Ribelll" attraverso cui realizza progetti legati alla neuro divergenza. E' padre di Tommy, giovane artista autistico su cui ha scritto 3 libri e realizzato due film.

Lascia un commento

Pulsante per tornare all'inizio