Marina Viola da Boston ci racconta Luca
E vaiii da oggi comincia a collaborare con noi un’altra madre dei nostri….E’ Marina Viola porta il quaranta di scarpe. Vive a Boston e ci farà il diario di quella che pensiamo essere l’ altra parte della luna. Che significa per noi autistici vivere negli Stati Uniti? Potete farle anche domande….
Questa è la sua storia: dal 1991, da quando cioé ha deciso di vivere con il suo fidanzato Dan. La loro prima casa era nel New Jersey, dove ha preso una minilaurea in grafica pubblicitaria. Ha tre figli: Luca, che ha quasi diciannove anni, ha una forma abbastanza drammatica di autismo e una forma strana di sindrome di Down; Sofia, che ha sedici anni ed è più bella di Liz Taylor, è un genio del computer e prende sempre cinque meno meno in matematica; Emma, che di anni ne ha solo otto, ma che riempie un silos con la sua personalità. Marina Viola odia le uova perché puzzano, ma per un maron glacé venderebbe senza alcun senso di colpa tutti e tre i figli. Ha una laurea in Sociologia presso Brooklyn College, l’università statale della città di New York. Da qualche anno tiene un blog in cui le piace raccontare alcuni momenti della sua vita. Ha scritto settimanalmente sul sito della Smemoranda (smemoranda.it) dell’America vista però in modo sarcastico e ironico.
A giugno del 2013 è uscito il suo primo libro, “Mio Padre è stato anche Beppe Viola”, edito da Feltrinelli. Nel suo secondo, “Storia del Mio Bambino Perfetto” (Rizzoli, 2014) racconta di Luca e dell’autismo.
Tutte le mattine verso le sei emmezza, dopo aver preparato la colazione per Luca, Dan apre piano la porta della sua camera e, cantandogli la canzone che piace a lui, lo sveglia. Luca di solito dorme direttamente sul materasso, e si avvolge nelle lenzuola in modo da sembrare un baco da seta. Prima di alzarsi per andare a far la doccia, si stira, muovendo il suo corpo snodato in maniera quasi innaturale. Poi, con il suo passo pesante e un sorriso sul viso, si alza e va verso il bagno. Fa pipì (seduto) e poi entra in doccia. L’anno scorso la sua terapista veniva tutte le mattine alle sei emmezza per lavorare con Dan e trovare un modo semplice e ripetitivo per insegnare a Luca a lavarsi da solo: mister Shmoo, come lo chiamiamo noi, deve prendere la spugna, insaponarla e poi contare one, two, three, four, five mentre la strofina prima su un braccio poi sull’altro, gamba destra, gamba sinistra, ascelle, dorso e sedere. Sento infatti da camera mia Dan che conta one, two, e subito dopo Luca: ‘three, four, five’. Per ora ha ancora bisogno di essere aiutato, ma la speranza è che un giorno riesca a farcela anched a solo.
‘More, please, please more!’ implora Luca quando Dan spegne la doccia. La vince sempre lui questa battaglia, penso mentre dal mio letto sento l’acqua che ricomincia a scrosciare. Poi Dan lo asciuga, lo aiuta a lavarsi i denti, e gli insegna a radersi con il rasoio elettrico nuovo che che gli ha portato Babbo Natale, di cui Luca ha il terrore: per ora Dan conta one two three e gli appoggia tre volte il rasoio sul viso. È solo l’inizio: ‘De-sensitize him’, dice la terapista. Noi pendiamo sue dalle labbra. Da quasi quattro anni ne viene una a casa nostra tutti i pomeriggi, dalle 3 alle 5, e insegna a Luca a fare il bucato, ad apparecchiare, a fare la spesa e a metterla via, ad andare su facebook e lasciare messaggini sulla sua bacheca, a bussare prima di entrare in camera d’altri: insomma a vivere secondo le nostre regole.
Luca, nudo e ancora umodiccio,va in camera sua, scortato da suo papà, e si siede sul ciglio del letto dove Dan gli ha preparato pantaloni, mutande, maglietta, calze, occhiali che con una lentezza assoluta si mette.
Sono le sette e venti, Luca scende in cucina con il suo iPad per la colazione, che è fumante e pronta a tavola. Io lo aspetto in cucina e mi preparo un caffè. Mister Shmoo mi guarda e dice: ‘Good morning! Did you have a nice nanna?’, una delle poche frasi, tra l’inglese e l’italiano dei bambini piccoli, che sa dire bene. ‘I did!’ gli dico sbaciucchiandomelo. Si siede al suo posto, e in silenzio mangia mentre guarda per la miliardesima volta il video che ha trovato su Youtube, quello con il ragazzo inglese autistico, Daniel, che canta una delle sue canzoni preferite.
Sette emmezza: il rumore del clacson è il segnale che il pulmino è fuori ad aspettarlo. In realtà non è un pulmino, ma una monovolume guidata da Joel, che peserà 250 chili e ha un accento bostoniano marcatissimo. Dalla monovolume esce Mary, una donna haitiana che parla molto male l’inglese ma che adora Luca, che lei chiama Lulù: ‘Come Lulù, be careful’, gli dice prendendogli la mano. Lui si fa aiutare a scendere i tre gradini e a entrare in macchina.
E io rimango lì sulla porta in pigiama, e guardo il mio mister Shmoo affrontare con fierezza un’altra lunga giornata a scuola.
Gli dico ‘I love you’ e lui un po’ sottovoce mi risponde, ‘ok’.
Luca, detto anche Mister Shmoo, abita a Cambridge, negli Stati Uniti e novembre fa 19 anni. Tra le altre cose ha: due sorelle più piccole, una forma abbastanza grave di autismo, due cani, un iPad nano, una forma rara di sindrome di Down, un papà americano e una mamma milanese che gli ricorda ogni giorno che lui è assolutamente perfetto così.
MARINA VIOLA