La vera cura per l’autismo
Contina la corrispondenza da Boston di Marina Viola. Questo articolo lo ha scritto di getto dopo aver letto il pezzo di Chiara Ludovisi su Le guarigioni miracolose degli ex autistici . Marina ci ricorda che l’ autismo non è una malattia, quanto piuttosto un modo diverso di vedere il mondo.
Otto anni fa abbiamo comprato una casetta a due ore da Cambridge, dove abitiamo. È piccola, tutta di legno, tra un bosco e un laghetto. Una specie di paradiso terrestre, lontano dalla vita quotidiana di città che ha sempre in sé la sensazione di trascinare i piedi fino al venerdì sera, quando carichiamo la macchina di figli, cani e spesa e partiamo. Di solito il più felice di andare è Luca. Per lui la vita a Becket significa fare poco o niente: nessun tipo di terapia, nessuna richiesta di fare questo o quello in cambio di due minuti con l’iPad. Lui arriva, si spoglia nudo, si mette sotto le coperte e sghignazzando si ascolta tutto quello che vuole senza interruzione.
Le ragazze, di sedici e otto anni invece iniziano la loro campagna anti-Becket il giovedì sera, sperando di farci cambiare idea. Un po’ le capisco: anche io se avessi la loro età mi annoierei mortalmente. Questo fine settimana hanno vinto loro: Emma è andata con un’amica a far campeggio nel vicino New Hampshire e Sofia è rimasta qui, con un’amica. Quindi venerdì sera in macchina eravamo in tre: io Dan e Luca, che, felice come una Pasqua, ripeteva come un mantra: “Becket! Becket!” Siamo arrivati che era sera, la casa fredda è stata riscaldata quasi subito dalla stufa a legna della sala. Luca si è immediatamente fiondato in camera sua, tappezzata dai suoi poster preferiti: Dr Seuss, Bob Marley, e Oh Brother Where Art Thou. Sono andata a dargli la buonanotte, mi ha baciato e mi ha detto “Go away, please”.
La mattina dopo alle sette si è presentato nel lettone con l’iPad per un po’ di coccole che per lui significa prendere la mia testa tra le sue braccia ormai forti e chiedermi di cantargli la sua canzonincina preferita. Dopo aver fatto colazione e doccia, gli abbiamo proposto una passeggiata, che è durata esattamente due minuti e trentasei secondi dopodiché ha annunciato enfaticamente “All Done!”, ha fatto dietrofront e di corsa è tornato a casa, in camera sua. Nel pomeriggio, dopo aver preso una pizza schifosa nel nuovo ristorante del paesino accanto al nostro, abbiamo ballato una canzone di Stevie Wonder (la sua preferita). Ballare con Luca è abbastanza difficile perché mette i suoi piedi sui miei e si incolla a me con un abbraccio poco calibrato.
Luca era felicissimo di essere da solo con noi, e infatti spesso spuntava dalla sua stanza per stare in sala, sul divano, tra un cane e il suo papà, cosa che quando ci sono le sorelle preferisce non fare. Ecco la cura per l’autismo, ho pensato ieri sera tornando a casa: un finesettimana con Luca, un ballo lento, una pizza schifosa e l’amore incodizionato dei genitori. Sono sempre più convinta che Luca non abbia bisogno di essere curato: l’autismo non è una malattia, ma un modo diverso di ballare, di ascoltare la musica, di fare (o meglio non fare) una passeggiata fra i boschi. Io non lo vorrei diverso, e lui non vorrebbe essere diverso per nulla al mondo. È la persona più felice che io conosca e forse può essere lui, per una volta, a ‘curare’ la testa della gente e far capire che la diversità è un dono e non un difetto.
Chissà se ci riusciremo mai.
MARINA VIOLA
http://pensierieparola.blogspo
Marina Viola porta il quaranta di scarpe. Vive a Boston e ci farà il diario di quella che pensiamo essere l’ altra parte della luna. Che significa per noi autistici vivere negli Stati Uniti? Potete farle anche domande….
LEGGI LA PRIMA CORRISPONDENZA DA BOSTON DI MARINA
Questa è la sua storia: dal 1991, da quando cioé ha deciso di vivere con il suo fidanzato Dan. La loro prima casa era nel New Jersey, dove ha preso una minilaurea in grafica pubblicitaria. Ha tre figli: Luca, che ha quasi diciannove anni, ha una forma abbastanza drammatica di autismo e una forma strana di sindrome di Down; Sofia, che ha sedici anni ed è più bella di Liz Taylor, è un genio del computer e prende sempre cinque meno meno in matematica; Emma, che di anni ne ha solo otto, ma che riempie un silos con la sua personalità. Marina Viola odia le uova perché puzzano, ma per un maron glacé venderebbe senza alcun senso di colpa tutti e tre i figli. Ha una laurea in Sociologia presso Brooklyn College, l’università statale della città di New York. Da qualche anno tiene unblog in cui le piace raccontare alcuni momenti della sua vita. Ha scritto settimanalmente sul sito della Smemoranda (smemoranda.it) dell’America vista però in modo sarcastico e ironico.
A giugno del 2013 è uscito il suo primo libro, “Mio Padre è stato anche Beppe Viola”, edito da Feltrinelli. Nel suo secondo, “Storia del Mio Bambino Perfetto” (Rizzoli, 2014) racconta di Luca e dell’autismo.