Pensare Ribelle

A pranzo con l'autismo. Ma senza autismo

Domenica saranno 34 famiglie, sedute intorno a una grande tavolata a Pagani (Sa), per un pranzo tra amici: oltre 100 commensali, provenienti soprattutto dalla Campania, ma anche dalla Puglia, dalla Sicilia, dall’Emilia Romagna. Fin qui, niente di straordinario. Ma qualcosa di straordinario c’è, invece, perché 24 di quelle famiglie hanno l’autismo in casa: e tra i 100 commensali, ci saranno 27 bambini e ragazzi con autismo, di età compresa tra i due anni e mezzo e i 25. Ma l’autismo, quel giorno, non peserà, i genitori quasi riusciranno a dimenticarsi quei problemi dei figli che spesso li tengono chiusi in casa: lo scopo è “trascorrere una giornata nella normalità, seppure con i nostri figli spesso molto complicati”, ci spiega Imma Favarolo, mamma di un ragazzo autistico e madrina dell’iniziativa, con la sua associazione “Noi, un sorriso e gli autismi”. Un’idea che, nella sua semplicità, riesce a dare a queste famiglie ciò che nessuno pensa di dare: uno spazio e un momento per una condivisione “leggera”, spensierata, in cui “riusciamo quasi a dimenticarci dei nostri figli e dei loro problemi, pur avendoli lì con noi. Perché il figlio di ciascun diventa il figlio di tutti e ci sono più di 100 occhi a vigilare su questi ragazzi”.

pranzo autistici

L’iniziativa non è nuova per l’associazione, che l’ha inaugurata il 30 novembre 2014 e “da allora cerchiamo di ripeterla almeno ogni 2 mesi, perché le famiglie lo chiedono tanto – ci riferisce Imma – E’ un’occasione bellissima per tutti, il ristorante ci riserva una grande sala, l’animazione intrattiene i nostri bambini e ragazzi, a cui subito però, con grande naturalezza, si uniscono anche i bambini degli altri tavoli e delle altre sale: e nel gioco, i bambini si confondono, non si capisce neanche chi sia autistico e chi no”, racconta Imma. E così si raggiunge il primo obiettivo dell’iniziativa: “regalare mezza giornata di relax a quelle famiglie che al ristorante non vanno mai”. Come? “Facendoci tutti carico di ciascuno. Soprattutto tre di noi non si siedono mai: sappiamo quali sono i casi più problematici e non li perdiamo d’occhio un attimo”. Ma c’è anche un altro obiettivo: “farci riconoscere, informare e sensibilizzare sull’autismo”, spiega Imma. “Per questo, indossiamo tutti una maglia con la scritta ‘L’autismo riguarda anche te’: e non esitiamo ad avvicinarci a chi non ci conosce e magari osserva incuriosito i nostri figli, per dare qualche semplice spiegazione e rendere l’autismo un po’ meno sconosciuto. Ma solo con loro, con le famiglie ‘normali’, parliamo di autismo. Tra di noi no, è praticamente vietato, dobbiamo distrarci, pensare ad altro e parlare di altro”.

Ma i “normali” non sono solo agli altri tavoli: la grande tavolata delle famiglie con autismo è infatti, per così dire, ‘integrata’: anzi, “cerchiamo di coinvolgere ogni volta più persone che con l’autismo non hanno a che fare, se non indirettamente. Per esempio – continua Imma – la prima volta venne solo una bambina della classe di mio figlio, mentre domenica saranno in tre. Poi abbiamo coinvolto il sindaco, da cui da mesi aspettiamo una sede per la nostra associazione: stare a pranzo con noi lo aiuterà a capire chi siamo e di quale realtà ci occupiamo. Ma ci sarà anche il sindaco di un paese limitrofo, che ha un figlio adulto con autismo: li lasceremo parlare tra loro, i due amministratori, fiduciosi che in qualche modo si metteranno d’accordo”.

Certo, con una tavolata di 90 persone e una trentina di persone con autismo di tutte le età, le difficoltà e gli imprevisti non possono mancare: “ma anche l’imprevisto è previsto! – spiega Imma – Nessuno deve sentirsi a disagio, non ci sono regole di comportamento né galateo. Certo, capita che R., che è un gran mangione, puntualmente si alzi e renda il cibo dai piatti degli altri, anche di chi non conosce: ma troviamo subito il modo per sdrammatizzare. Poi, naturalmente, nei casi più gravi ci può essere la crisi: l’ultima volta un ragazzo stava per sollevare il tavolo, ma lo abbiamo fermato in tempo, proprio perché lo tenevamo d’occhio in tante: lo abbiamo fatto calmare su un divanetto, poi abbiamo accompagnato lui e la mamma in macchina, perché aveva raggiunto il limite e doveva essere riportato a casa. Niente di particolarmente grave, comunque. E questo è il bello: riusciamo a trascorrere una giornata senza autismo, diventiamo persone normali e tutto fila liscio, non c’è una mamma che dica: ‘Avrei fatto bene a restare a casa’. Anzi, dal giorno dopo si inizia a organizzare il pranzo successivo. Ci vuole così poco e ha un valore così grande: sarebbe bello che tutte le associazioni lo facessero: perché tra i tanti servizi che non ci vengono offerti, questo forse possiamo inventarlo noi stessi, con un po’ di impegno e di fantasia”.

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