L' autistico ci insegna a osservare e non dover subire il parere altrui
Claudio Risè ha scritto di autismo citando il libro di Tommy.Mi ha molto sorpreso trovare conferma di alcune mie osservazioni sull’attualità di una visione più “autistica” della propria ipertrofica attività di relazione. E’ un temo da trattare con molta delicatezza, soprattutto per non entrare nel territorio limaccioso delle tante teorie consolatorie, in particolare quelle che vorrebbero gli autistici come avanguardie di un’ umanità futura.
Sta di fatto però che osservarli da vicino indurrebbe a ridiscutere un punto che sembra innegoziabile della nostra civilizzazione. Siamo certi che la coatta e compulsiva necessità di comunicare, e comunicarsi, non porti alla lunga a un’usura da adattamento al pensiero altrui? Nel suo perenne galleggiare in un vuoto assoluto l’ autistico ci osserva silente, ma non sente bisogno di giudicarci, o di confrontarsi con noi. Comunica di sé unicamente l’ essenziale, senza orpelli, convenzioni, costruzioni fittizie o barocchismi.
Senza naturalmente augurarsi una società di indifferenti, forse un addestramento a essere meno affannati, per sentirci sempre all’altezza del nostro prossimo, ci darebbe qualche giovamento.
Quei bambini in rivolta contro i rumori
È un popolo silenzioso, che vive con noi, ma di rado ci parla, e poco ci ascolta. Sono i nostri bambini autistici. Uno su cento è così, ma il loro numero è in aumento: in Occidente raddoppia ogni sei anni. Anche perché lo “spettro autistico”, il campo di questi disturbi, si allarga sempre di più.
In generale, gli autistici sono quelli che non giocano il nostro gioco. Nel mondo della “comunicazione” e delle chiacchiere, loro tacciono. E sono loro a decidere cosa ascoltare, cosa guardare. In un mondo sempre più uguale e uniforme, sono i diversi per eccellenza.
Il loro codice genetico è soggetto a cambiamenti assenti nelle altre persone. Le loro aree cerebrali presentano diversità da quelle degli altri, ed anche molto variate da loro. Sono un vero rompicapo per la scienza, perché la diagnosi di cosa non va è in loro molto diversa da persona a persona. E’ certo però che sono nella stragrande maggioranza maschi: 8 a 1.
Non facili da trattare, come racconta ora Gianluca Nicoletti, nel libro dove descrive la sua tenera e competente esperienza di padre di un bimbo autistico (Una notte ho sognato che parlavi).
Per il resto, ogni storia è diversa.
Le spiegazioni scientifiche cambiano. Negli anni 60 del secolo scorso si dava alla “madre fredda” la “colpa” di generare la silenziosa protesta dei figli. Poi, con l’avanzare delle neuroscienze, si notò che in molte parti del loro cervello, da quelle più nuove come la “corteccia” a quelle più antiche come il sistema limbico, c’erano diversità significative, variabili tra l’altro dall’una all’altra persona.
Con gli sviluppi della genetica poi, si scoprì che anche lì accadevano processi particolari, che provocavano “riaccomodamenti” nel loro codice genetico (che potevano poi nuovamente mutare).
Nella gran parte dei casi, comunque, non c’è una causa specifica ma molte insieme. Insomma una “multifattorialità” come si usa dire con altra orrenda parola (e chissà se nel silenzio degli autistici non ci sia anche una protesta contro l’imbarbarirsi del linguaggio).
Il fatto è che questi bimbi sono diversi e che da quel che pare di capire “vogliono” fortemente esserlo.
Nella loro diversità, però, manifestano una presenza che molti bambini normali non sembrano avere.
Anche il loro rifiuto dei rumori, ad esempio, in un mondo infestato da suoni di ogni genere è come un programma di vita, e una richiesta non completamente insensata.
In generale, la caratteristica comune a tutti loro è il sottrarsi alla maggior parte dei condizionamenti esterni. Decidono loro cosa va bene. Alla fine fanno quello che interessa a loro, o che gli va di fare.
Possono diventare ottimi matematici, o rivelarsi straordinari pelatori di patate, o instancabili trasportatori di acqua nei secchi dalla fontana al lavello, al posto di tubi mancanti.
Nella loro intensità silenziosa, però, hanno altre capacità profonde e misteriose.
Nicoletti dice che non è niente, ma intanto, una volta che dovevano andare nella loro casa di campagna, in Abruzzo, il ragazzino si è opposto fieramente, sono tornati a Roma, e lassù è venuto il terremoto, e la casa è crollata.
Fernand Deligny, che portava i ragazzi autistici nel casolare di un’asciutta campagna francese, ha scoperto che le loro passeggiate preferite ritrovavano i percorsi sotterranei dell’acqua.
Certo, in un mondo costruito sul linguaggio e la comunicazione, loro ne tagliano il 90%, e lo buttano via.
Ma non ci sarà una ragione se questi bambini aumentano?
Forse abbiamo esagerato con parole, ragionamenti, e gesti stereotipati. Finalmente dei diversi che non vogliono essere come gli altri.
Claudio Risé, da “Il Mattino di Napoli” del lunedì, 25 febbraio 2013, www.ilmattino.it