Faraone sul caso Fonni: "Stiamo risolvendo, ma scuola non sia unico luogo di accoglienza"
Siamo riusciti a far diventare un caso nazionale una storia di autismo incompreso, che solo sabato era partita dai social e era approdata alle pagine dei giornali sardi. Il caso di Francesco l’ autistico fuori tempo massimo per andare a scuola ora è all’attenzione del Miur. Questo significa che degli autistici si comincia a parlare anche come portatori di diritti, oltre che di fenomeni matematici alla Rain Man, come ricordiamo fosse il pensiero comune solo qualche anno fa. Spero che le famiglie non demordano, seguitino a segnalare le loro storie di ordinaria invisibilità. Noi ci saremo e cercheremo di raccontarle nel miglior modo possibile.
“Si stanno delineando modalità di intervento con la nuova preside. Nel giro di pochi giorni avremo la conclusione definitiva”: così il sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone ci annuncia la probabile chiusura del caso di Francesco, il ragazzo 19enne di Fonni, autistico grave, a cui il preside ha negato di iscriversi a scuola quest’anno (dopo la decisione, condivisa da famiglia e docenti, di rinviare di un anno l’esame di maturità) perché ha “assolto l’obbligo formativo”.
Informato dei fatti dagli stessi genitori, il ministero ha così risposto alle nostre domande, tramite il sottosegretario Davide Faraone, che premette: “Casi di mancata inclusione come questo sono da debellare completamente dalla scuola italiana, perché ci portano lontani da quello che stiamo cercando di costruire giorno dopo giorno. Per questo ci siamo attivati da subito per verificare cosa fosse successo: abbiamo sentito il dirigente dell’Ufficio scolastico regionale della Sardegna e i dirigenti scolastici che si sono succeduti nella scuola frequentata dal ragazzo, per capire dove si fosse inceppata la comunicazione. Il tutto con un unico scopo: garantire il diritto allo studio al ragazzo, nel rispetto delle regole della scuola, regole pensate per favorire il più possibile una reale inclusione”
Quali vi risultano essere le motivazioni reali del diniego da parte del dirigente?
La situazione è complessa e, a quanto pare, non è stato fatto un chiaro passaggio di consegne tra i dirigenti che si sono succeduti e tra questi e la famiglia. La famiglia dava per scontata la nuova iscrizione del ragazzo all’ultimo anno, dal momento che questo non aveva sostenuto gli esami finali. Forse vale la pena ricordare che, nel caso di percorsi differenziati, gli alunni sostengono prove differenziate che attestano e certificano le competenze acquisite. In questo caso, quindi, per la scuola era sufficiente l’attestazione al termine degli scrutini, per la famiglia no. Tant’è vero che ha riscritto il ragazzo, ma senza ricevere alcuna risposta a tale richiesta. Dando per scontato che questa fosse stata accettata quando in realtà si è scoperto che così non era.
La decisione di far ripetere l’anno al ragazzo: quanto dipende dalla preoccupazione delle famiglie per il “dopo-scuola”?
Senza dubbio, nonostante tutto, la scuola resta spesso l’unico luogo di accoglienza e di inclusione reale per i ragazzi con disabilità, soprattutto se questi soffrono di gravi disabilità e in vivono in contesti socio-ambientali “poveri”, con poche risorse economiche e progettuali. Va da sé che i genitori vogliano per i propri figli una crescita in realtà stimolanti e condizioni di vita sane e di buona qualità. E’ per questo, quindi, che spesso chiedono di far restare a scuola i propri figli il più a lungo possibile, non solo per dare loro il massimo di sviluppo delle capacità, ma soprattutto perché si fidano della scuola. Tutto questo, però, è sintomo di una società che, a differenza della scuola, è ancora molto indietro nell’inclusione di ragazzi e ragazze con disabilità, che fatica ancora a riconoscere la diversità come arricchimento.
La scelta di far ripetere l’anno è discutibile o dal punto di vista normativo ma anche pedagogico è condivisibile?
Tutti gli studenti sono diversi, così come diversi sono i contesti. Non possono esistere regole valide per tutti, le decisioni devono essere prese sempre insieme, scuola, famiglia, equipe medica e servizi sociali. La normativa, poi, prevede tutto ciò che fa il bene dei ragazzi.
Nelle ultime settimane si sono ripetuti casi di mancata inclusione da parte della scuola pubblica: la bimba con Hiv, il caso di Vittorio a Biella e ora questo. Sono i casi in aumento oppure c’è maggiore attenzione mediatica?
Sicuramente è un segno di maggiore consapevolezza dei diritti individuali. Chiaramente sui media finiscono casi isolati di “mal funzionamento” ma spesso rimane nascosto quello che la scuola – insieme agli insegnanti di sostegno, “eroi per scelta” – fa ogni giorno per l’inclusione. Se si parla di una decina di casi a fronte di oltre 100 mila alunni con disabilità significa che il sistema tutto sommato funziona. E’ chiaro che dobbiamo aspirare a fare sempre meglio. Questi casi servono per accendere i riflettori e continuare a lavorare per superare quella parte di ipocrisia dell’inclusione che purtroppo ancora in alcuni casi persiste.
A che punto è la riforma del sostegno? E’ ancora molto acceso il dibattito tra chi sostiene le carriere separate e il sostegno specializzato e chi invece teme che questo incentivi il meccanismo di delega. Come si sta procedendo? Quanto un buon sostegno e una buona assistenza faciliterebbero una buona inclusione?Abbiamo iniziato un confronto vero con tutti coloro che hanno interesse a migliorare il nostro sistema di inclusione scolastica. Il problema non è discutere di carriere separate sì o no, ma del fatto che i docenti che lavorano sul sostegno debbono essere formati in modo adeguato, all’inizio della loro carriera e anche durante. L’inclusione e il sostegno non possono essere affrontati posizionati su barricate ideologiche o sindacali: al centro devono essere sempre i ragazzi, il loro diritto a formarsi e crescere in maniera libera e sana, il nostro dovere di garantire a tutti una qualità della vita alta.