Le aule di sostegno, “isola felice” o “arma a doppio taglio”? Parola alle mamme
“Smantelliamo le aule di sostegno!”
Faraone, il sottosegretario al Miur dedicato ai temi dell’inclusione, ha detto ultimamente che “vanno smantellate” e trasformate, possibilmente, in biblioteche. Per molti, studiosi, insegnanti, o genitori che siano, sono il simbolo dell’esclusione, dell’isolamento, della segregazione addirittura. Parliamo delle aule di sostegno, spazi non previsti dalla scuola dell’inclusione, ma di fatto ancora presenti, in varie forme e con vari usi, in molte strutture. Piccole o grandi, attigue alla classe o lontane da questa, le aule di sostegno possono essere utilizzate in pochi casi di “emergenza”, o divenire fatalmente habitat naturale dei casi definiti “difficili”. Utili per “calmare” chi non sopporta a lungo il rumore di una classe, ma spesso utilizzate per “non disturbare” compagni assorti nell’ascolto e nello studio. Soprattutto, le aule di sostegno sono spesso meta, temporanea o definitiva, per gli studenti autistici più rumorosi, più impazienti, più difficili da “gestire”. E così come ci sono genitori completamente contrari, allo stesso modo non mancano quelli che ritengono queste aule un “male necessario”, se non addirittura un “sollievo” per i loro ragazzi.
Lo dimostra il dibattito che si è acceso in rete, quando abbiamo provato a gettare il sasso nello stagno: al gruppo di famiglie “Noi, un sorriso, gli autismi”, abbiamo chiesto se queste aule siano davvero da smantellare, o se invece non siano per qualcuno utili, necessarie e perfino indispensabili. Ed ecco le principali, svariate posizioni: tanti i contrari, non pochi i favorevoli. Daremo presto la parola ad altre “categorie”: insegnanti, operatorio e studiosi. E anche qui ritroveremo – questo già possiamo anticiparlo – la stessa varietà… Intanto, la parola alle mamme.
Sì alle aule di sostegno, “isole felici
“Se le cose si fanno con il cuore e per l’ amore del bambino, a me sta bene – dichiara Grazia – Nella scuola di V. l’ hanno realizzata ed è stupenda: a me la sua maestra l’ha fatta vedere già dal primo giorno. Ovviamente non è da utilizzare sempre, non sarebbe una scuola inclusiva: la sua classe è composta da 19 bambini compreso lui ed è lì che lui sta studia, fa esercizi, colora. Ma quando c’è una giornata no, allora è un ottimo modo per farlo distrarre!”. Lory anche vorrebbe per suo figlio “uno spazietto per lui, dove possa rilassarsi. Servirebbe nei momenti di crisi di M., per esempio ora che stanno provando delle canzoni in classe e a lui questo dà fastidio, piange e si butta a terra, quindi lo portano in palestra. Ma se avesse una sua auletta, nel momento in cui sta per partire la crisi potrebbe andare lì”.
Per Angela le aule di sostegno sono “indispensabili, ma dipende dall’uso che se ne fa. Mio figlio non regge in classe tutte le ore, oggi che fa il secondo anno di superiori , nell’ora di diritto o tedesco per esempio, cosa farebbe lui, col suo programma di terza elementare? Allora ben venga un posto dove possa fare delle cose su misura per lui .Quindi si alle aule per il sostegno, non come mezzo esclusivo ma come appoggio. E questo vale per i ragazzi come il mio, con una programmazione extra ministeriale e zero voglia di relazione. Dovrebbe stare 5 ore in classe quando i compagni fanno tedesco, finanza o diritto? A fare che? Lui sta in classe le prime tre ore e poi giù a fare laboratori. E a me va benissimo cosi”.
Dice un “sì condizionato” all’ aula di sostegno anche Teresa: “potrebbe essere utile quando il bimbo troppo stressato ha bisogno di staccare dalla confusione della classe. Invece di farlo scorazzare nei corridoi o in palestra, un’aula ben arredata potrebbe invece rendere meno pesanti queste ore. Insomma i ‘normo’ se ne vanno in bagno e chiacchierano tra loro per distrarsi un po’. Io alla fine della 5a elementare venni a sapere per caso che l’insegnante di sostegno aveva adibito un banco nel corridoio per mio figlio! Alle superiori non ne parliamo: dal secondo anno ha iniziato a scorazzare felice per i corridoi e a non voler fare più nulla. Quindi dico sì all’aula di sostegno, ma a certe condizioni. Il problema è:chi controlla che queste condizioni siano rispettate?”
L’aula di sostegno è addirittura “un’isola felice” per Giusy, che racconta così l’esperienza di suo figlio: “All’asilo aveva una piccola aula per lavorare in pace, ma stava molto con gli altri bambini. Alle elementari, aveva una piccola stanza, ma attaccata alla sua classe. Aveva il computer e la maniera di muoversi all’interno con una bella finestra e i suoi disegni appesi. Alle medie la stanza era grande e attrezzata per mettere tutte le sue cose. Le ore passate in classe sono diminuite, ma per lui va bene così, visto che la classe è molto rumorosa. Adesso alle superiori, malgrado l’inizio burrascoso, l’aula di sostegno è diventata la sua isola felice. Cartoncini da colorare e disegnare alle pareti e la palestra a sua disposizione fuori dalla porta in caso di attacco di nervi. In tutti questi anni l’aula di sostegno è stata una stanza molto utile per Alex, perché la classe vera e propria era troppo confusionaria per lui. Li ha potuto lavorare molto e con profitto. Alex viene portato tutte le mattine in classe per l’appello ed è lui che quando non ce la fa più esce e va in aula di sostegno. E anche se non sta con le persone quando fanno chiasso, in questo momento, a 16 anni, sinceramente non mi importa tanto: a me importa che lui sia tranquillo, non agitato. Ora quando è nervoso, so che lo portano al bar della scuola, dove c’è una signora molto gentile che parla e si intrattiene con lui. Ma quando c’è molta confusione si mette le mani nelle orecchie e scappa”
Ed ecco chi non è d’accordo
“Assolutissimamente contraria!” si dichiara Antonella. “C’è da dire che mio figlio non ha crisi, è un bimbo pacifico e tranquillo, potrei al massimo accettare che stia fuori dalla sua classe giusto per placare eventuali crisi”. Ma l’aula di sostegno, dice, “è un’arma a doppio taglio: pensate cosa succederebbe se ci fosse un’insegnante di sostegno incapace e con poca voglia di fare! Non dimentichiamoci che l’alunno fa parte della classe e se ne devono occupare anche le maestre curriculari, già così delegano tutto all’insegnante di sostegno, figuriamoci con l’aula apposita dove sono autorizzate a portarlo! No, no e poi no!”.
La pensa così anche Imma, che accetta tutt’al più che “si porti il ragazzo in aula di informatica, o a fare un giro per il plesso, ma per poco tempo”. Piuttosto, bisogna “approntare la didattica in modo adeguato: un’ora di studio alternata a 10 minuti di pausa. Mio figlio l’anno scorso non voleva stare mai in classe, per lui esisteva solo la palestra. Poi ho preteso che stesse in classe: lo scorso anno si tappava le orecchie quando i compagni suonavano il flauto, ora lo suona anche lui insieme a loro. Quando sapeva di poter andare in palestra, non c’era modo di tenerlo in classe. ora sa che un’alternativa non esiste e sta imparando a stare in classe”.
Chiude la carrellata Katia, un’insegnante di sostegno: “Io credo che l’aula di sostegno sia come tornare indietro nel tempo. Qualsiasi sia la diagnosi, i bambini hanno il diritto di confrontarsi con i pari. L’alunno disabile cresce, ma cresce anche l’alunno ‘normo’, che impara che la diversità non va evitata ma aiutata. La mia aula è l’aula di tutti ed è attrezzata per tutte le esigenze: è in aula che affronto le frustrazioni”.