Anche gli autistici possono auto-rappresentarsi
Sono stata invitata giovedì scorso alla presentazione in un grande albergo della Capitale di un nuovo progetto di Anffas Onlus (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettive e/o Relazionali). Il progetto si chiama <Io cittadino> ed è all’apparenza ambizioso se non addirittura utopistico. Mi è bastato qualche minuto, però, per rendermi conto che non era propriamente così. <Io cittadino> si pone un obiettivo nobile, semplice e concreto.
Per capirlo ed apprezzarlo bisogna prima di tutto liberarsi da certe sovrastrutture mentali e culturali che confinano il mondo della disabilità intellettiva in una nebulosa segregazione pseudo-assistenziale.
False verità come ad esempio l’idea che un disabile intellettivo non sia in grado di fare delle scelte, di partecipare attivamente alla vita sociale, di far sentire la propria voce e il suo peso nelle decisioni politiche, di essere in grado di far cambiare quelli leggi sbagliate e penalizzanti scritte sulla sua pelle da chi non sa neanche cosa sia la disabilità psichica.
Dentro una sola parola <l’auto-rappresentanza> si nasconde un mondo nuovo. Ecco perché il progetto <Io cittadino> va considerato rivoluzionario: pone il disabile intellettivo in un’altra dimensione. Insomma come ha spiegato Roberto Speziale presidente nazionale di Anffas “è arrivato il tempo di considerare i disabili intellettivi e relazionali capaci di autodeterminarsi e autorappresentarsi”.
È, in pratica, la filosofia del Self Advocacy dei disabili intellettivi che già realtà in molti paesi europei mentre da noi totalmente sconosciuta.
Anffas si fa promotore di avviare un movimento di Auto-Rappresentanza (cioè Self Advocacy) italiano per dare gli strumenti alle persone con disabilità intellettiva e relazionale che lo vogliono, di rivendicare in prima persona i loro diritti nel rispetto del “nulla su di noi senza di noi”.
Durante la presentazione di giovedì sono state ascoltate anche le testimonianze e le esperienze di Senada Halilcevic Presidente dell’EPSA (European Platform of Self-Advocates) e vice-presidente di Inclusion Europe e di Elisabeta Moldovan componente del board Epsa che ha offerto il pieno appoggio ad Anffas per raggiungere il suo obiettivo. Molto illuminanti e anche incoraggianti della serie “si può fare, io l’ho fatto”.
A questo punto mi sono chiesta, alla luce delle esperienze positive che si stanno avendo negli altri paesi europei aderenti all’EPSA, quante probabilità ci sono perché l’auto-rappresentanza delle persone con disabilità intellettiva attecchisca anche qui da noi.
In Italia, si sa, pregiudizi secolari legati al concetto di segregazione in istituti o centri diurni come unica forma di assistenza, camuffata in un apparato socio-sanitario – o in qualche struttura di pelosa carità hanno condannato generazioni di disabili intellettivi a un’esistenza di isolamento, esclusi se non reietti dalla società civile.
Mi ha aperto gli occhi un’auto-rappresentante della Romania che, aiutata dalla sua tutor e supporter, ha fatto capire che lei insieme a quelli come lei combattono proprio l’istituzionalizzazione concepita come una <reclusione> dal mondo e lo fanno in nome del loro sacrosanto diritto di poter scegliere autonomamente come e dove vivere.
Ci sarà da fare molta strada per arrivare all’empowerment dei disabili intellettuali ma una cosa è certa. Guardando crescere i nostri figli più o meno disabili, più o meno autistici e osservando il loro modo di rapportarsi al mondo e alla società abbiamo notato che la loro “inclusione” o anche “incursione” nella realtà che li circonda.
Nella quotidianità fatta di esperienze, rapporti umani, attività routinarie che impegnano varie ore della giornata, che accrescono conoscenza e autostima, insomma una vita comunitaria e di condivisione li appaga e li arricchisce.
Istintivamente noi genitori sappiamo che quella è la strada giusta: ce lo fanno capire i ragazzi anche se non lo possono dire a parole. Il benessere si comunica in tanti modi. Basta sapere e volere cogliere il messaggio.
E quindi anche gli autistici più o meno verbali possono, anzi devono, diventare presto degli auto-rappresentanti. Sarà la volta buona che si cambieranno quelle assurde leggi che a diciott’anni li fanno sparire dal mondo come autistici per trasformarli in psicotici non meglio identificati oppure in improbabili “ex autistici miracolati”.
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