Le molestie sessuali sulle donne disabili mentali
Si parla da settimane di palpeggiamenti e molestie sessuali per i fatti di Colonia. Sacrosanto parlarne, come sarebbe auspicabile che cadesse il muro di silenzio omertoso sulle molestie sessuali che subiscono le donne disabili mentali.
Sono quelle donne che nessuno si prenderebbe la briga di ascoltare, perché sono pazzerelle, perché sono angeli, perché sono figlie di nessuno.
Gabriella La Rovere mamma di Benedetta su questo problema sta raccogliendo testimonianze e indizi. Secondo lei chiunque frequentasse per anni centri con donne disabili scoperchierebbe “un vaso con immonde schifezze”!!!.
Su questo tema Gabriella aveva già scritto per noi una sua riflessione: “La violenza contro le donne disabili mentali è “indicibile”per tutti?”
Da una ricerca dell’Alto Commissariato dell’ONU per i Diritti Umani emergono dati allarmanti riguardo la violenza nei confronti di ragazze e donne con disabilità mentale.
In Europa 1 milione e 200mila persone con disabilità sono quotidianamente esposte al rischio di violenza.
Non ci sono dati certi riguardo le donne disabili che ancora vivono in famiglia e frequentano scuole e centri diurni. Sono vittime completamente invisibili di soprusi che si consumano quotidianamente.
Denunciare gli abusi non è facile. Le donne disabili sono spesso dipendenti da chi ha usato loro violenza (familiare, educatore, operatore socio-sanitario) e quando la denuncia viene fatta, si mette costantemente in dubbio la credibilità e l’attendibilità della testimonianza. La disabilità mentale marchia a vita e qualsiasi cosa venga detta “è sicuramente frutto del delirio”, “è qualcosa di onirico, immaginato”, “è assolutamente da scartare” .
L’errore che viene commesso è quello di non fornire loro gli strumenti giusti per capire. Esse non ricevono nessuna informazione sul sesso, sono considerate degli angeli messe a disposizione inconsapevole di satiri pervertiti.
Il primo mea culpa deve essere fatto da noi mamme.
La nascita di una figlia femmina è sempre salutata con la gioia di avere qualcuno che rimarrà legato alla famiglia, si prenderà cura di noi nell’età del rimbambimento e che ci darà dei nipoti. Quando nasce una femmina disabile, il progetto di vita che avevamo creato nella nostra testa va al diavolo e siamo costrette a riscrivere tutta l’esistenza. Quella figlia non sarà mai completamente indipendente e, se anche ne avesse le possibilità, preferiamo mantenerla in uno stato coatto di infantilismo.
Il discorso sul sesso che ogni madre dovrebbe fare alla propria figlia (io sto ancora aspettando quello di mia madre 91enne!) viene cancellato, così come ogni parola che in qualche modo sfiori il tabù.
Il corpo materno che nega la sessualità della figlia disabile e che allo stesso tempo vive – o cerca di farlo – una sua sessualità, è un corpo che la bambina non riconosce. Questo non consente la strutturazione della sua identità. Con queste premesse, il fenomeno della violenza non viene neanche percepito come tale. È però un episodio che in qualche maniera colpisce nel profondo creando disagio e conseguente ansia e fenomeni di aggressività senza motivo. Spesso non diamo peso a frasi che sembrano lanciate, separate dal contesto e quando il dubbio ci assale, c’è sempre chi tende a minimizzare l’accaduto sottolineando la loro evidente infermità mentale.
Così ci piace essere ricacciati nel paese dei campanelli perché non pronti ad affrontare l’orrore.
La violenza è fatta anche di palpeggiamenti, strofinii lascivi, toccamenti delle parti intime, tutte cose per le quali scendiamo facilmente in piazza ogni 8 marzo.
Niente di nuovo sotto il sole anche per quanto riguarda la giustizia che non vuole impegnarsi nella difesa dei più deboli nonostante ci sia una figura a loro preposta.
Una denuncia di abuso dà l’avvio a una sequela infinita di perizie in grado di fiaccare una persona normotipica, figurarsi una disabile mentale se non una autistica! Spesso il gioco non vale la candela e questo lo sanno bene i vari avvocati che tutelano i querelati e si aggrappano ad ogni cavillo.
Non c’è una via d’uscita se non con una rivoluzione culturale.
Sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo è una delle frasi più condivise sui social network, ha quel tanto di chic, new age e politically correct che fa tendenza.
Trovo invece più calzante una battuta dal film “Quinto potere”: Sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più.
Io riparto da qui.