Bracconeri e il figlio teppautistico col pannolone. Che la scuola non vuole più
Ve lo ricordate Bruno Sacchi, il “ragazzo della III C?”. Oggi non è più un ragazzo, ha 52 anni e quando parla di suo figlio #teppautistico, in veemente romanaccio, si accalora. “La scuola non lo vuole più, con i suoi 12 anni e il pannolone crea troppi problemi: ma io la capisco, non la condanno. Però lo Stato, non la famiglia, che deve inventarsi una soluzione”. Bracconeri ha lasciato città, regione, due figli e lavoro – dice – per dare a suo figlio ciò di cui aveva bisogno: una struttura specializzata, che si prendesse cura di lui. Viveva a Monterosi, dove il figlio frequentava la quinta elementare. Finché, lo scorso anno, “durante un glh (gruppo lavoro handicap) mi è stato fatto presente che la situazione era diventata ingestibile: cambiare un ragazzone ormai adulto, che naturalmente ha le sue pulsioni e un corpo da uomo, rappresentava un problema per la giovane assistente 21 enne. Non era più come quando era un bambino. Mi è stato detto che sarebbe stato meglio tenerlo a casa”. Oggi Bracconeri questa storia ha deciso di tirarla fuori, non per condannare scuola, “perché io la capisco: capisco l’assistente, capisco le insegnanti, capisco la neuropsichiatra”; ma per far capire “cosa devono affrontare i genitori un figlio disabili, a prescindere da quanto sono ‘famosi’: anche, tanti ‘famosi’ non dicono di avere un figlio disabile, si vergognano. Io ho deciso di farlo, per dare voce a tanti che subiscono in silenzio”.
E Bracconeri, a cui le risorse, dopo tanti anni di televisione, certo non mancano, ci racconta come e perché, a settembre, si è trasferito in Sicilia: “la scuola per mio figlio non andava più bene: tanto che lui che non voleva più andarci, si sentiva a disagio. Ho capito che gli serviva una struttura specializzata, che sapesse prendersi cura di lui. E l’ho trovata a Trapani!. Fortunatamente ho una casa giusto a 8 chilometri da questo centro. Così, a settembre, io e mia moglie abbiamo deciso di trasferirci lì, insieme a lui e al fratello di 16 anni, che però vive per conto suo, nella società calcistica professionale in cui è inserito. E i grandi li abbiamo lasciati a Roma. Abbiamo scelto di costruire un futuro a chi non può costruirselo da solo. Il nostro pensiero fisso è: quando non ci staremo più noi, ‘sta croce chi se la porterà?”.
Si lascia andare, Bracconeri: quando parla di suo figli #teppautistico pare che ne abbia così tante da raccontare, per far capire “che grande fatica, che vita complicata è la nostra, che pure i soldi li abbiamo. Figuriamoci chi non li ha! Per esempio, è nato qualche giorno fa il figlio di nostra figlia e volevamo conoscerlo: ma vive a Roma e portarci Emanuele era un gran casino. In aereo gli scoppiano le orecchie e urla, in macchina si è già mangiato mezzo sportello e lo sterzo: allora siamo andati io e mia moglie, partendo in aereo la mattina presto, dopo che il pulmino era passato a prenderlo per portarlo al centro. E siamo tornati la sera alle 21.30. Ma di notte mi sono svegliato con due mani sulla faccia: era lui che si era svegliato, come accade spesso. E addio sonno”. Un altro esempio: “Mangiare una pizza fuori con gli amici? No, non se ne parla. Mica ci possiamo portare Emanuele: svuota il piatto e poi vuole tornare a casa. Inutile dire che le sue urla e il suo comportamento non danno fastidio: alla terza volta che ti parcheggia in faccia le mani bagnate di saliva, ne riparliamo! Allora, per mangiarmi sta pizza, devo pagare una persona brava e specializzata che possa stare con lui. E una così la pago 35 euro. Facciamo due conti: quanto mi costa ‘sta pizza??”.
Ed esempio dopo esempio, quando gli chiediamo “allora che proponi?”, si fa “politicamente scorretto” e dice: “servono scuole per portatori di handicap, perché non tutti i disabili possono andare a scuola con i normodotati: un autistico grave, come mio figlio, nemmeno se ne accorge che ci sono i compagni normodotati. Lui ha bisogno di un assistente che lo segua tutto il tempo, inutile prendersi in giro. E al centro che frequenta ora, tutti i giorni fino alle 18, ha trovato ciò di cui ha bisogno. Ed è finalmente contento”.
Certo, non tutti hanno una casa in Valderice, così come non tutti possono permettersi di lasciare città e lavoro: “anche per me è un sacrificio, sto vivendo di quello che ho messo da parte. Ma tra due tre anni, quando le scorte saranno finte, che faccio, elimino mio figlio?. In qualche modo, dovrò riprendere a lavorare. Ma è chiaro che la maggior parte delle famiglie non avrebbero potuto fare quello che, seppur con sacrificio, ho fatto io”. Per questo, la sua idea è che “ci debba essere una struttura specializzata per i ragazzi autistici, con scuola annessa, in ogni città: ovviamente, se si tratta di grandi città, molto più di una: almeno 10!”. E poi, rincara la dose: “inutile prendersi in giro, l’autismo è in assoluto la disabilità peggiore, perché non puoi distrarti un attimo e devi avere sempre persone formate, specializzate e competenti accanto a tuo figlio. Per questo, credo che si debbano eliminare cooperative e associazioni e dare i soldi in mano alle famiglie, perché possano scegliere il meglio per i propri figli. Senza che un solo euro vada sprecato”.