Pensare Ribelle

Ensa e Gabriele, il rifugiato e il teppautistico

gabriele ensaGabriele ha 24 anni, capisce tutto, parla, ma ha un ritardo mentale dalla nascita per cui si è sempre sentito isolato. Ensa è un suo coetaneo, viene dal Gambia, vive sulla sua pelle la diffidenza e il pregiudizio di chi non accetta le sue origini. Si sono conosciuti a Casale San Nicola, zona nord della capitale, dove a luglio sono stati trasferiti, tra le proteste dei residenti, un gruppo di migranti in attesa del riconoscimento di rifugiati politici. Da quel momento la loro amicizia prova a sfidare l’ignoranza e a mostrare il senso della parola integrazione.

Gabriele frequenta un centro diurno a Labaro, si trova bene, meglio della scuola nella quale i suoi genitori hanno dovuto lottare in continuazione contro l’emarginazione imposta da insegnanti poco attenti e di conseguenza compagni poco sensibili. Nella sua zona non ha molti amici, nonostante saluti tutti. Nel luglio dello scorso anno, nel casale che sorge nel parco a poche centinaia di metri dalla sua casa, arrivano dei ragazzi, in qualche modo speciali come lui, con vite alle spalle dure e il bisogno di un presente e di un futuro diverso.

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“Volevano farmi firmare una petizione per chiedere che li cacciassero, ma io sono cattolica credo nella misericordia ed ho vissuto in prima persona le conseguenze dell’ignoranza. La disabilità fa paura come gli zingari, i barboni, gli immigrati.” Mariagrazia è la mamma di Gabriele, dopo anni di battaglie per l’integrazione, ribadisce che da tutta questa sofferenza ha imparato soprattutto a guardare con gli occhi di suo figlio che non giudicano, ma osservano e sorridono. “Passeggiavo nel parco vicino al casale,quando mi si è avvicinato Ensa, non ho avuto timore. Mi ha ricordato Gustavo un ragazzo che avevamo adottato a distanza e che purtroppo non c’è più. Mi ha chiesto il numero di telefono ed io glielo ho dato, quando l’ho detto a mio marito un po’ si è arrabbiato. Ensa ci ha voluto incontrare ed è stato felice di venire a casa nostra. Si è sentito accolto, in famiglia.”

“Sei un bel negro, però mi piaci”

Queste le prime parole di Gabriele verso Ensa e poi non si sono lasciati più. “Tutti i giorni vuole passare al Casale, mangia con loro, scherza, è pigro quindi non gli va di aiutarli a fare giardinaggio, però si sente accettato, come non era mai accaduto prima.” Tra compleanni festeggiati insieme, partite viste in tv, piatti di pasta condivisi, la famiglia romana ha adottato i ragazzi del Casale, non solo per misericordia, ma anche per la consapevolezza che contro il razzismo la battaglia è comune e che dall’incontro possono arrivare solo benefici. “L’assistente di Gabriele mi ha confermato che grazie a questi suoi nuovi amici, mio figlio è più sereno. Non è scontato che lui si fidi, invece a loro ha aperto il cuore e loro non lo hanno tradito.”

Purtroppo a breve il prefetto di Roma, Gabrielli, potrebbe decidere il trasferimento dei ragazzi dal Casale San Nicola e solo l’idea mette in ansia Mariagrazia e la sua famiglia. “Ensa ha conosciuto tutti i nostri parenti, Gabriele lo presenta come un fratello, se dovessero mandarlo via, troveremo il modo per andarlo a trovare. Purtroppo non possiamo prenderlo con noi, non abbiamo le possibilità economiche. Speriamo che venga riconosciuto come rifugiato e possa rimanere nel nostro paese.” Nell’attesa che un lieto fine coroni una storia rara che riesce a squarciare il buio della cronaca, Ensa e Gabriele si godranno altre giornate di amicizia insieme, dimostrando che c’è un dialogo che non ha bisogno di parole. “Chi ha sofferto ha un altro approccio, un altro cuore, sa andare oltre le apparenze.”

Redazione

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