Che pensate di fare per noi autistici? I candidati a sindaco di Roma che ci hanno risposto
Come abbiamo annunciato qualche giorno fa, il 19 aprile abbiamo formulato tre domande specifiche su una possibile politica per noi autistici, le abbiamo per ora inviate ai cinque candidati sindaco di Roma che oggettivamente hanno maggiori possibilità ad aspirare alla carica di primo cittadino di Roma.
Il 30 aprile ha risposto per primo Stefano Fassina, candidato di SEL e Sinistra Italiana.
Il 5 maggio ci ha risposto Roberto Giachetti, candidato PD;
il 7 maggio anche Virginia Raggi, candidata del Movimento 5 stelle.
Sia da Alfio Marchini, sia da Giorgia Meloni, a cui abbiamo mandato sempre il 19 aprile le tre domande e sollecitato le risposte, al momento non è pervenuto nulla.
Confidando nel loro riscontro pubblichiamo intanto le risposte di Roberto Giachetti e Virginia Raggi.
Reinseriamo, dopo la decisione del Consiglio di Stato che ha riammesso Stefano Fassina e le liste collegate, anche le sue risposte.
DOMANDA 1
Una delle prime difficoltà che si deve affrontare quando si riceve una diagnosi di autismo riguarda la ricerca dei servizi necessari per i propri figli/ fratelli/ nipoti. Si impegna a partecipare o a coordinare un censimento di tutte le attività presenti nel proprio comune e a richiederne il controllo della reale efficacia e corretta operatività? Se sì, come? |
Risponde Roberto Giachetti, candidato del Partito Democratico
Come per tutti gli altri cittadini cercherei di garantire ai cittadini autistici il loro diritto di cittadinanza, cercando di dar loro pari opportunità, con progetti individuali di assistenza e di integrazione. Sì, mi impegnerei a coordinare un censimento delle attività presenti per loro con l’aiuto di professionisti del settore, attraverso una casella H in cui si specifica la patologia nei moduli del censimento generale.
Risponde Virginia Raggi candidata del Movimento Cinque Stelle
Quando una famiglia scopre di avere un figlio autistico la prima sensazione è di smarrimento. Perché avere un bambino autistico è un problema. Benché il buon animo spesso ci spinga a farci credere che tutto possa andare per il meglio, non è così. Soprattutto in un momento in cui l’assistenza sociale, nella fattispecie, oltre ad essere precaria spesso è di bassa qualità. Quindi bisogna ripensare subito il presente e programmare il futuro, almeno fin quando è possibile farlo. Così comincia un percorso lungo e faticoso, di fronte al quale le istituzioni hanno l’obbligo di essere presenti. Per quanto riguarda la materia competente al Comune il primo passo da compiere sarà abbattere le liste d’attesa per l’assistenza domiciliare. Non è più concepibile che delle famiglie attendano degli anni prima di ricevere l’assistenza. Nell’organizzazione dei servizi destinati alla disabilità, i fondi sono suddivisi in maniera frammentata nei vari interventi destinati alla persona, senza prevedere un progetto di vita personalizzato. In tal senso, prevediamo la destinazione del budget di progetto di vita personalizzato erogato direttamente alla persona disabile che può scegliere – col sostegno dell’Amministratore di Sostegno o del tutore se necessario – di assumere i propri assistenti o di rivolgersi ad una cooperativa o ad altre realtà presenti sul territorio, rendicontando all’amministratore comunale. Mantenendo la cifra che attualmente il Comune indirizza alle politiche relative la disabilità, ma riorganizzando la destinazione dei fondi, possiamo ottenere un miglioramento dei servizi e della vita della persona e, nel complesso, risulterà meno dispendioso.
Dopo di che occorre istituire i PUA (Punto Unico di Accesso) in ogni municipio come chiede la 328/2000 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali), cosi che gli utenti si trovino di fronte ad un unico sportello che dà informazioni ed indirizza su tutte le attività ed azioni relative al proprio percorso evitando così peregrinaggi da uno sportello all’altro.
Andrà senz’altro rivista la delibera comunale 355/12 (Approvazione progetto di riorganizzazione dei servizi di assistenza domiciliare per persone anziane, disabili e minori), che non risponde ai veri bisogni individuali degli assistiti, rivedendo il metodo con cui si calcola il bisogno dell’assistito. Poi la puntualità dei pagamenti spettanti a chi ha scelto l’assistenza indiretta. Non è possibile che le famiglie siano sempre tenute ad anticipare il denaro dell’assistenza. Chi non ne ha a sufficienza nemmeno per la sussistenza di base della famiglia, cosa deve fare?
Il Comune deve tutelare i suoi cittadini, sempre, soprattutto quelli più fragili. Un altro punto importante sarà quello di rivedere il numero dei neuropsichiatri infantili, da cui partono le diagnosi e che sono davvero troppo pochi e sommersi di lavoro. Altro problema, ci vogliono dei protocolli chiari ed uguali per tutti i municipi; questo, chiaramente, di concerto con le ASL. Inoltre, sarà fondamentale creare dei progetti di mutuo sostegno per le famiglie.
Sugli AEC (Assistenti Educativo-culturali), ci vogliono certezze nei tempi di aggiudicazione dei bandi, per permettere agli operatori di conoscere i ragazzi prima dell’inizio della scuola ed instaurare un minimo di rapporto con l’assistito e con i genitori, con una particolare attenzione a mantenere nel corso degli anni scolastici la continuità dell’operatore che ha funzione rassicurante nei confronti dei bambini autistici.
Risponde Stefano Fassina
A fronte di una frammentazione dei progetti individuali applicati dai singoli servizi sanitari e dalle singole amministrazioni si rende necessaria una maggiore integrazione tra le istituzioni sociali e sanitarie; è inoltre utile costituire una rete degli interventi ed individuare buone prassi partendo dalle esperienze che sono già in atto ed avviare la formulazione di linee guida che includano anche il riconoscimento dell’autismo in età adulta.
Sarebbe utile costituire un comitato tecnico-scientifico con l’obiettivo di fornire una mappa, un monitoraggio e coordinamento degli attuali interventi in tema di autismo; i partecipanti dovrebbero essere sia tecnici dell’assessorato sociale del Comune e sia della Regione.
A livello dei singoli municipi e ASL di riferimento si potrebbe individuare un coordinamento dei singoli progetti individuali rivolti ai soggetti autistici che miri a mettere in rete i servizi sociali e sanitari ampliandone l’offerta e realizzando il sistema di “cura” integrato.
DOMANDA 2
Dall’autismo non si guarisce, ma possono migliorare le condizioni di vita sia per chi ne è affetto, sia per i famigliari, attraverso la creazione di spazi adibiti allo svolgimento di iniziative per l’inclusione? Quanti ne potrebbe fornire a questo scopo se diventasse sindaco? |
Risponde Roberto Giachetti
Sì, e credo che sia un dovere creare le condizioni adeguate per svolgere attività e iniziative dedicate e in questo modo facilitare l’inclusione vera, un diritto che va garantito a tutti, migliorando le condizioni di vita sia delle persone affette da autismo, sia delle loro famiglie. Penso anche a questo quando immagino una Roma che sia davvero per tutti e di tutti, nessuno escluso.
Non è solo una questione di numeri, ritengo piuttosto che sia una questione di qualità. Non realizzerei troppi spazi, ma, tenuto conto delle esigenze del territorio, vorrei che ce ne fossero almeno due in ogni municipio. Ovviamente si procederebbe solo dopo aver ascoltato le associazioni e aver fatto il punto della situazione per realizzare i migliori progetti possibili.
Risponde Virginia Raggi
In letteratura non ci sono ancora sufficienti prove scientifiche atte a definire quale sia il miglior modello di organizzazione dei servizi rivolti a persone con autismo, ma l’esperienza insegna che è necessario un lavoro integrato e multidisciplinare, di rete, tra famiglia, operatori coinvolti nell’assistenza della persona e istituzioni coinvolte a livello sanitario, sociale e scolastico, quello che come Movimento 5 Stelle ci proponiamo di fare, quindi non è solo un censimento di tutte le attività presenti sul territorio di Roma Capitale, ma prevedere, laddove necessario, una riprogettazione del servizio stesso, laddove risulti essere poco efficace ed efficiente.
Sicuramente questo lavoro si può fare attraverso la creazione di tavoli di confronto che vedano coinvolti tutti gli attori chiave del sistema del welfare, finalizzati non solo a quanto detto sopra, ma anche all’analisi dei singoli progetti inclusi nell’attuale Piano Regolatore Sociale, al fine di comprendere se i progetti sono stati attuati e con quali risultati, se rispondono ancora alle esigenze del territorio e in caso prevedere nuovi progetti che prevedano una maggiore inclusione della persona con autismo, ma con disabilità in generale nelle varie sfere di vita.
Risponde Stefano Fassina
L’inclusione dovrebbe diventare una pratica condivisa e diffusa per i soggetti autistici sia a scuola sia nei contesti sociali da individuare nelle comunità di appartenenza dove si potrebbero favorire iniziative di sviluppo delle competenze interpersonali ed abilità comunicative da parte di associazioni riconosciute di volontariato e del terzo settore.
DOMANDA 3
Il pensiero più grande per le famiglie riguarda il Dopo di Noi che si deve cominciare a costruire Durante Noi. E’ disposto/a ad ideare o accogliere progetti di integrazione anche nell’ambito lavorativo rivolti ad autistici che prevedano il coinvolgimento diretto del comune? Se sì in quale direzione orienterebbe la proposta? |
Risponde Roberto Giachetti
Anch’io sono convinto che non possa bastare un dopo di noi “delle emergenze”, ma è auspicabile, piuttosto, che i genitori o i familiari accompagnino i ragazzi disabili verso la nuova quotidianità durante la loro vita, quando sono in piena salute. Per questo, grazie anche agli strumenti previsti dalla legge che abbiamo appena votato alla Camera sul Dopo di noi, spero che per le famiglie sia arrivato il momento di realizzare i loro progetti per una vita il più possibile “normale” dei loro figli, lontana dai camici bianchi, come hanno sempre sognato.
Io mi orienterei sui parchi e il verde, perché credo che sia un ambiente lavorativo in cui gli autistici potrebbero dare molto.
Risponde Virginia Raggi
Il dopo di noi così come lo si sta trasformando è una dichiarazione di resa: il governo abdica rispetto ai suoi doveri nei confronti degli italiani e restringe sempre di più il campo di intervento dello Stato, lasciando campo libero ai privati. Questa visione la rifiutiamo: l’attività dei privati può integrare l’offerta pubblica, ma non sostituirla. Il “dopo di noi” è oggi, perché ci sono già migliaia di famiglie che vivono ogni giorno situazioni d’incertezza e di solitudine riguardanti i propri cari con disabilità. Sosterremo attività di cohousing virtuose, facilitandone per quanto possibile, la realizzazione e la riuscita.
Risponde Stefano Fassina
Favorire l’applicazione delle normative che prevedono un inserimento lavorativo dei soggetti autistici. Utilizzare le agenzie di formazione regionale degli assessorati del Comune.