Chi ha paura dell'autistico?
E’ rimbalzata dall’Huffington post americano a quello italiano, la storia del ragazzo autistico californiano “ammonito” dal condominio in cui risiede con la sua famiglia: ragioni di “pubblica sicurezza”, ha assicurato un inquilino, hanno costretto i solerti vicini a sporgere denuncia, anzi svariate denunce. A far conoscere la storia e darle l’importanza che merita, è il blog di Bonnie Zampino, tradotto in italiano da Milena Sanfilippo, che ha pensato di dare importanza al caso e prenderne spunto per parlare del “vero autismo”, quello più diffuso e meno noto, quello che colpisce il ragazzo californiano, come pure il figlio di Zampino. Dietro la storia, un’amara verità: l’autismo è questo, è quello che disturba e fa paura, è quello che urla e si dimena. E avere un figlio autistico significa questo, ogni giorno: essere guardati con sospetto, perfino allontanati o denunciati, perché quel ragazzo preoccupa, può far male. Allora è meglio rintanarsi in casa, ridurre al minimo i contatti col mondo, esporsi meno possibile, per non correre rischi e non creare problemi a nessuno. Fuorché a se stessi..
E il racconto di Bonnie Zampino apre squarci su una quotidianità che difficilmente arriva sui giornali, nazionali o internazionali che siano, ma che pure si può scovare in qualche sito specializzato, o in qualche organo d’informazione particolarmente sensibile al tema. “Mio figlio, coetaneo del ragazzo ‘denunciato’ dai vicini, era molto aggressivo quando era più piccolo. Si comportava esattamente come il ragazzo coinvolto in questa storia. Rincorreva gli altri bambini solo per spingerli a terra. Li colpiva, scalciava, tirava loro i capelli e non sapevo mai cosa sarebbe successo. Per molto tempo, trasalivo quando correva verso di me… Non riuscivo a comprendere se voleva abbracciarmi o colpirmi. Riuscite a immaginare i miei sentimenti, come mamma? Trasalire appena vedi tuo figlio venirti incontro?”, racconta Zampino, che proprio per questo ha “smesso di andare al parco. Abbiamo smesso di andare alle letture di gruppo ‘Mamme e figli’ in biblioteca. Andavamo a fare la spesa alle 6 di mattina, quando non c’era molta gente in giro. Mio figlio non frequentava l’asilo, avevamo una babysitter a casa, così non avrebbe avuto altri bimbi intorno. In sostanza, l’ho isolato per tenere al sicuro gli altri. Riuscite a immaginare cosa significa essere una mamma e non essere in grado di portare tuo figlio al parco, alle feste o a giocare con gli altri bambini?”
Sono rivelazioni come questa che dovrebbero accendere una “luce” sull’autismo, blu, bianca o rossa che sia: sono “confidenze” come questa che contribuiscono a creare la “consapevolezza” che, sull’autismo, si sta ancora cercando e invocando. Si storie come questa ce ne sono tante, Redattore sociale ne ha raccontate alcune: come quella della nonna cacciata dall’albergo insieme al nipote autistico, o della famiglia rifiutata da un bed and breakfast davanti al cupolone, o della mamma che non riesce a trovare una casa in affitto perché suo figlio “fa paura” o, ancora, quella del ragazzo disabile, forse autistico pure lui, cacciato da un autobus a Roma perché ascoltava la musica a volume troppo altro. O quella dei genitori disperati che cercano e finalmente trovano una sistemazione residenziale per un figlio ormai adulto che non riescono a gestire: perché una ragazzo autistico, quando cresce, può far paura perfino ai suoi genitori, se manca il sostegno necessario.
Tante ancora se ne potrebbero raccontare: come quella che proprio oggi ci racconta Imma, a cui abbiamo chiesto di commentare il “caso californiano” con uno dei suoi “ricordi peggiori“. E le viene in mente quel giorno in cui “siamo stati invitati a lasciare il circo perché mio figlio mostrava la sua gioia urlando e agitandosi. Ma è successo anche a scuola, pochi giorni dopo l’inizio della primaria: alcune mamme fecero una raccolta di firme per chiedere che mio figlio fosse allontanato dalla classe, perché i loro bambini ne erano impauriti. E ancora ieri pomeriggio sono andata in piscina per iscriverlo a nuoto e mi hanno detto ‘no, è troppo grande per essere inserito nel corso dei piccoli, creerebbe imbarazzo negli spogliatoi’. Ma mio figlio non è abbastanza grande per andare da solo negli spogliatoi dei suoi coetanei. Un altro rifiuto, insomma, seppur molto cordiale”. Così come cordiale, ma crudele, fu il rifiuto che Imma incassò alcuni anni fa, quando “per ben due volte e da due sacerdoti diversi a mio figlio fu negata la comunione perché, dicevano, non aveva la consapevolezza del sacramento. E, per giunta, avrebbe potuto sputare l’ostia, commettendo peccato”. Insomma, Imma è certa, è pronta a scommettere, che “tutte le mamme di figli autistici più volte nella loro vita sono state invitate a uscire da un locale, da una giostra, da una festa, o addirittura da una classe…Tutte noi – continua – in qualche modo, almeno una volta, siamo state costrette a ricordare agli altri che ‘l’autistico non morde‘, né è un animale feroce di cui aver paura. Sono esperienze di cui fare tesoro, per arrivare più preparate alla prova successiva: io, personalmente, dopo l’episodio del circo, umiliante e mortificante, non ho più concesso che si creasse una situazione del genere: ovunque andiamo, metto subito in risalto le difficoltà di mio figlio, facendo ben intendere che ha problemi e difficoltà. Così che non ci sia spazio per ottusa curiosità o semplice stupidità”.