Lo sterminio con autistico in famiglia
È successo ancora a Verona: un pensionato di 64 anni, sposato e con un figlio autistico di 37 anni, ha aspettato che i famigliari si addormentassero e li ha accoltellati, e poi ha tentato di suicidarsi. La moglie, inferma a causa di un ictus, è morta dopo ore di agonia; il figlio e il padre sono invece ancora ricoverati.
I giornali riportano che il padre soffre di depressione e che ha telefonato al fratello confessandogli la sua mattanza. I servizi sociali locali, che conoscevano la famiglia, dichiarano che erano a conoscenza del caso, e anzi seguivano la famiglia. Eppure nessuno è riuscito a evitare che questa sciagura accadesse.
È una notizia secondaria, descritta in tre paragrafi, una storia di ordinaria follia che mi ha colpito profondamente, non solo per la violenza dell’atto del padre, ma per il senso di solitudine, di disperazione e di smarrimento che deve aver provato questo povero genitore per arrivare a tanto.
Un genitore che, come noi tutti genitori di figli autistici, ha sicuramente combattuto le battaglie combattute da noi, quelle per la scuola, per i servizi, per una vita dignitosa per il figlio.
Come se tutto questo non bastasse, da anni si era dovuto occupare anche della moglie, malata. La conclusione a cui quest’uomo è arrivato per alleviare la disperazione di tutti e tre è di ammazzarsi tutti: la moglie, il figlio e poi lui.
Il mio primo pensiero, però va automaticamente al figlio, ‘nato autistico’ come scrivono i giornali, ignorando forse il fatto che tutti gli autistici nascono autistici. Non ne descrivono invece la gravità. Chissà cosa succederà a quest’uomo-bambino, e chissà l’ansia del padre in carcere… .
È questo un dramma che denuncia l’enorme lacuna esistente nei servizi sociali, e cioé il mancato supporto per le famiglia con figli autistici adulti.
Come è ormai noto, i nostri figli sono impegnati, seppur solo mezza giornata, a scuola fino ai diciotto anni, fino a quando cioé diventano cronologicamente adulti. Il vero dramma, per loro e per noi, viene dopo: quando pur invecchiando, i nostri figli richiedono lo stesso livello di attenzione rigorosa e complessa di quando erano piccoli, eppure le nostre famiglie vengono lasciate sole.
Noi genitori diventiamo vecchi forse anche più precocemente di altri genitori, perché abbiamo alle spalle anni di impegno massacrante che dedichiamo ai nostri figli, per non parlare delle difficoltà emotive e logistiche: dove e a chi lasciare i nostri figli quando andiamo a lavorare? Come occupare il loro tempo? Ma anche e soprattutto: cosa succederà a loro dopo di noi? La nostra forza va scemando con l’età e con la stanchezza accumulata.
Infatti, forse le famiglie come le nostre hanno più bisogno di supporto quando i nostri figli diventano grandi e noi diventiamo vecchi, perché i nostri figli sono più difficili da gestire. Ci sono sì, centri diurni: alcuni sono meglio di altri, ma ne abbiamo sentite tante ultimamente di notizie sui maltrattamenti che avvengono in alcuni di questi centri. Sono notizie che assottigliano di molto la nostra fiducia in qualsiasi di queste istituzioni, anche quelle tanto raccomandate e apparentemente bellissime.
Ma queste sono tutte cose che noi genitori conosciamo fin troppo bene. Ormai non fanno più neanche notizia.
Il papà di Verona e sua moglie per 37 anni di fila si sono occupati del loro figlio insieme, poi è rimasto solo lui a occuparsene, oltre che ad accudire la moglie invalida. Per quanto io sia convinta che non arriverò mai a compiere atti estremi come il suo, comprendo perfettamente la disperazione e la stanchezza fisica e mentale che ha portato a fare l’inimmaginabile. È chiaro a tutti il fatto che il papà di Verona è anche lui vittima in questa vicenda orrenda, perché è stato lasciato solo: anche se fosse un pazzo psicopatico, perché nessuno se n’è accorto prima?
Sarebbe importante sapere che tipo di servizi ricevesse la famiglia, se e chi se ne occupava possa dire, guardandoci tutti negli occhi, di aver davvero fatto il possibile per salvare tutti e tre.
MARINA VIOLA
http://pensierieparola.blogspo
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- Questa è la sua storia: dal 1991, da quando cioé ha deciso di vivere con il suo fidanzato Dan. La loro prima casa era nel New Jersey, dove ha preso una minilaurea in grafica pubblicitaria. Ha tre figli: Luca, che ha quasi diciannove anni, ha una forma abbastanza drammatica di autismo e una forma strana di sindrome di Down; Sofia, che ha sedici anni ed è più bella di Liz Taylor, è un genio del computer e prende sempre cinque meno meno in matematica; Emma, che di anni ne ha solo otto, ma che riempie un silos con la sua personalità. Marina Viola odia le uova perché puzzano, ma per un maron glacé venderebbe senza alcun senso di colpa tutti e tre i figli. Ha una laurea in Sociologia presso Brooklyn College, l’università statale della città di New York. Da qualche anno tiene unblog in cui le piace raccontare alcuni momenti della sua vita. Ha scritto settimanalmente sul sito della Smemoranda (smemoranda.it) dell’America vista però in modo sarcastico e ironico.
A giugno del 2013 è uscito il suo primo libro, “Mio Padre è stato anche Beppe Viola”, edito da Feltrinelli. Nel suo secondo, “Storia del Mio Bambino Perfetto” (Rizzoli, 2014) racconta di Luca e dell’autismo.