Letteratura, autismo e lotte sociali
L’autismo viene spesso descritto come un problema da risolvere oppure come paradigma di genio bizzarro e incompreso. Finalmente le cose stanno cambiando da quel 1987 quando milioni di spettatori in tutto il mondo hanno sorriso alle stravaganze di Raymond Babbit.
Si era ancora in epoca Bettelheim e quel personaggio così strano, che si esprimeva in modo asciutto senza mai guardare in faccia il suo interlocutore, che al massimo si tappava le orecchie continuando a parlare come reazione a uno stato di stress, rassicurava, la sua diversità poteva addirittura essere fonte di guadagno al blackjack. La sfortuna valeva bene una vincita.
Un nuovo sceneggiato prodotto dalla BBC, dal titolo “The A word” rappresenterà la vita di ogni giorno di una famiglia con figlio autistico. L’autore Peter Bowker ha voluto raccontare la storia di un bambino che non è né un genio nascosto, né un caso così severo di autismo da trasformare tutta la platea in semplici osservatori attoniti. Il suo obiettivo è stato quello di fare un film che fosse divertente, non doveva semplicemente colpire lo spettatore con la storia, ma doveva far vivere empaticamente le difficoltà quotidiane, magari strappando una risata.
La spettacolarizzazione fine a se stessa non paga e noi genitori lo abbiamo vissuto sulla nostra pelle in tutti questi anni. Il bambino con autismo è principalmente un bambino, con una sua personalità e una crescita che ricalca quella dei suoi coetanei, anche se con tempi diversi e traguardi raggiunti a prezzo di sorrisi e lacrime.
Lentamente sta cambiando lo sguardo verso l’autismo, cinema e letteratura si stanno adeguando a un linguaggio più aderente alla realtà. Da “Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte” (2003) che ha appassionato lettori in tutto il mondo rimanendo sempre nell’eccezionalità di un individuo Asperger, si è passati a “Dove andiamo papà?” di Jean Louis Fournier (2009), libro drammatico pur nella forte ironia che ha dato l’avvio a una narrativa verista.
I genitori con figlio autistico non sono santi che portano stoicamente la croce della loro sofferenza, nessuno di loro ha mai voluto vivere la vita che conduce e – soprattutto – non sono persone inevitabilmente tristi e noiose. La difficoltà non è solo nel vivere con un figlio autistico, ma nel confrontarsi con una società che non è inclusiva, né tollerante.
Da sottolineare anche l’attenzione rivolta ai padri, che non sempre scappano di fronte alle difficoltà e che dichiarano la loro fragilità, senza per questo sentirsi meno uomini. A fronte di un’avanguardia letteraria che ci vede al primo posto con “Se ti abbraccio non aver paura”, “Zigulì” e “Una notte ho sognato che parlavi”, il prossimo mese uscirà negli Stati Uniti il romanzo di esordio di Jem Lester “Shtum”, padre di un ragazzo autistico non verbale mentre “A boy made of blocks” di Keith Stuart tratta delle difficoltà di un padre a relazionarsi con il proprio figlio.
Entrambi i libri vogliono sfatare i luoghi comuni sull’autismo, come passo importante per la comprensione di una situazione che interessa sempre più famiglie nel mondo. La definizione di “disturbi dello spettro autistico” ha allargato i criteri di inclusione gettando nel panico tante persone. Il cammino per l’accettazione sociale dei nostri figli è ancora lungo, cambiare la cultura è un’impresa ciclopica ma si può sperare in un futuro diverso solo se le sfide vengono affrontate insieme con spirito corporativo.
Che una donna venga denunciata penalmente perché, insieme con altre persone sue amiche o conoscenti, si era messa fuori dall’istituto di Grottaferrata a sostenere empaticamente i genitori dei ragazzi disabili abusati, è qualcosa di assurdo e vergognoso, un’ulteriore beffa a quelle che quotidianamente sopportiamo. Mi aspetto una reazione civile ma corale da parte di tutti noi che abbiamo un figlio con disabilità. Per una volta alziamo la testa invece di lamentarci.
Gabriella La Rovere