Premetto che ho molto a cuore la causa, sono Asperger, ben integrata e comprendo l’irritazione che molti genitori provano davanti a persone come me, che vorrebbero equiparare i nostri problemi a quelli dei loro figli: non ho assolutamente questa pretesa.
Ho conosciuto molti ragazzini autistici durante un’attività di volontariato e ho un diploma in tecniche comportamentali per bambini con disturbi pervasivi dello sviluppo (ABA), ma non pratico, lavorando in un’altra area.
Durante i cinque mesi di corso ABA all’Università di Reggio Emilia, la maggior parte dei partecipanti erano insegnanti di sostegno. I docenti del corso, che per la maggior parte dei casi si erano formati in UK/US, presentavano filmati di come l’integrazione a scuola viene effettuata in questi Paesi. In particolare mi ha colpito la reazione dei miei compagni di corso ad un filmato dove si mostrava una modalità di fare merenda insieme. Il bambino autistico in questione aveva dei comportamenti problema visibili, motivo per cui gli altri bambini non desideravano stargli vicino.
Allora hanno allestito un angolo, con giochi più belli, dove 2 o 3 bambini a turno potevano far merenda con lui. Anche la merenda era più appetitosa di quella degli altri. In breve tempo i bambini facevano la fila per stare col bimbo autistico, rendendosi conto che i suoi comportamenti non erano poi così gravi. Mi aspetto che da lì in poi il bambino sia stato considerato meno “pericoloso” anche in assenza della Nutella: in pratica, hanno applicato il metodo ABA anche ai bimbi neurotipici, e l’ABA funziona con tutti.
Bene, la reazione dei miei compagni insegnanti è stata di rivolta: sostenevano che non fosse giusto legare l’integrazione a un vantaggio personale, che non fosse etico [con bambini di 6-7 anni! Mi veniva da piangere…].
Il grande esperto Theo Peters ha detto che in Italia gli autistici vengono integrati nelle classi al pari dei caloriferi e io concordo con lui. Il tutto deriva da questo maledetto concetto del politically correct, che ci sta rovinando a tutti i livelli. Davvero qualcuno desidera che i propri figli vengano integrati per etica o per pietà? Facendo un sacrificio?
Nel caso di Legnano, di certo si sarebbe potuto tirare a sorte e “imporre” la ragazzina autistica alle compagne estratte, oppure scegliere le più responsabili. Ma è questo l’obiettivo? Non è meglio che gli adulti trovino una strada verso un’integrazione reale, dove tutti abbiano dei benefici?
Se un ragazzino spacca l’astuccio in testa a un compagno, la soluzione non sta nel “sopportarlo” in quanto autistico, ma nel capire cosa ha scatenato la reazione e prevenirla. Nessuno riesce a comprendere fino in fondo – per esempio – i nostri disturbi sensoriali: se cercassero di immergervi in una vasca d’acqua bollente, chiedereste cortesemente di uscirne, o tirereste cazzotti?!? Per un autistico il chiasso di una “bella classe integrata” può rappresentare questo, ecco perché a volte è meglio integrarsi con moderazione. Ma non possiamo aspettarci che siano i compagni a capirlo.Questa idea fissa dell’integrazione “a tutti i costi”, senza lavorare per ottenerla rispettando i diritti di tutti, è ridicola e demagogica. Le percentuali di autismo oggi sono altissime e finalmente se ne parla: facciamo in modo che se ne parli nel modo giusto, diventiamo una lobby, ma abbandoniamo queste posizioni pietistiche, che non portano da nessuna parte.
Silvia Totino
Informatica con una diagnosi di Asperger, vive principalmente a Milano. Condivide un appartamento part-time con un figlio non ufficialmente autistico, ma selvatico e silenzioso al punto giusto, con un interesse fisso spropositato per i motori.
È molto arrabbiata con tutti quelli che – grazie alla sua capacità di adattamento – insistono nell’ignorare la sua diversità anche quando porta loro dei benefici, rendendole così la vita decisamente più complessa.