Le zavorre mentali al pensiero del dopo di noi
Gabriella era tra i (pochi) genitori che ieri hanno mosso il sedere per venire a discutere all’Auditorium della Camera con giuristi e parlamentari della nuova legge sul “dopo di noi”. E’ stata una giornata importante, produttiva, stimolante. Sono venute persone a portare testimonianze e fare domande da moltissime regioni d’Italia, erano presenti i rappresentati delle associazioni, imprenditori, professionisti, e gente comune. Ci piacerebbe avere altre testimonianze dirette di quelli che hanno partecipato.
Dopo neanche dieci giorni dall’approvazione alla Camera della legge che, in maniera semplicistica e informale, viene detta del “dopo di noi”, ieri si è svolto un convegno che, per la prima volta, ha unito istituzioni, giustizia, terzo settore e i genitori di persone con disabilità, pochi ad essere sinceri.
Era soprattutto rivolto a loro questa giornata di approfondimento dal momento che le critiche alla legge erano rimbalzate sui social ed alcuni ne avevano fatto l’ennesima crociata. Niente di nuovo sotto il sole, è la storia che si ripete inalterata da quando mi sono trovata coinvolta in questo che fino a pochissimi anni fa era un vero e proprio girone dantesco.
Le persone disabili sono sempre state relegate ai margini, e con loro i genitori. Ricordo ancora il senso di smarrimento e la vertigine che mi ha travolta quando mi fu detto della malattia di mia figlia. Mi sono sentita morta, ormai finita, murata viva insieme a tante persone che avevano il mio stesso problema. Ero ancora giovane, piena di energia e ho pianto per giorni la mia disperazione.
L’esclusione dalla vita sociale, che è uno dei motivi di lagnanza dei genitori, non avrebbe ragione di esistere se veramente prendessimo coscienza del peso politico che il mondo della disabilità può avere in termini numerici. Nel caso dell’autismo, si calcola che siano almeno 600mila le famiglie coinvolte, il che vorrebbe dire un milione e 800mila voti come minimo. Non bruscolini.
Siamo nel 2016 e niente è cambiato nella percezione del sé, nel sentirsi cittadini attivi, vitali dello Stato, pronti ad afferrare le occasioni che si presentano fornite dal personaggio pubblico che – ahimè per lui, buono per noi – ha lo stesso problema.
Al di là di questo, la giornata di ieri è stata veramente chiarificatrice dei tanti dubbi che avevo. L’insufficiente comunicazione della legge sui media è una delle criticità sottolineata da tutti, così come lo stesso convegno è stato, coscientemente o meno, passato sotto silenzio.
Siamo solo all’inizio di questa partita e non dobbiamo distrarci. La legge consente di poter progettare il futuro dei nostri figli, proprio come vogliamo e cioè che sia aderente alle sue capacità e aspirazioni, e che possa realizzarsi nella sua cosa, laddove sono presenti le cose che testimoniano identità e affetti. Non dobbiamo distrarci perché così come ci battiamo per l’esigibilità dei diritti dei nostri figli, così dobbiamo essere noi i “cultori della materia”.
Il genitore è il primo educatore e primo medico del proprio figlio. La competenza deriva dal viverci accanto 24 ore su 24, dall’osservazione attenta di ogni gesto, parola, anche il semplice battito di ciglia. Questo ruolo non deve essere sminuito e, meno che mai, trasferito a figure professionali che sparano nozioni apprese dai libri e che conoscono solo “il caso”, “la malattia” e non la persona con quella patologia nelle sue mille sfaccettature.
Essere là ieri ha significato questo per me. È sacrosanto il diritto all’autodeterminazione, quando è possibile ma, in mancanza di questo, solo il genitore può dire cosa è meglio per il proprio figlio, senza se e senza ma, perché nessun trattato di medicina o psicologia può superare l’esperienza diretta.
Essere là ieri mi ha permesso di conoscere progetti riproducibili, possibilità di lavoro e di guadagno, non solo per i nostri figli. È stata illuminante la domanda provocatoria di un genitore rivolta ai presidenti delle associazioni presenti e cioè quanti hanno un bilancio in pari e quanti in attivo, volendo con questo sdoganare la differenza tra guadagno, lucro e spesa improduttiva. È possibile gestire le associazioni di promozione sociale come imprese per il bene dei nostri figli e della collettività.
Le critiche del tipo guadagna con il proprio figlio le lascio ai “rosiconi”, a quelli che sono sempre alla finestra e che vedono la vita passare. Sono la zavorra che ha rallentato in questi anni l’inclusione sociale perché i primi a nascondere il proprio figlio agli occhi degli altri, i primi a chiudere la complessità della persona in schemi riduttivi dei quali il più importante è la pulizia del sedere.