La polizia a Miami spara per strada a un autistico con il suo terapista
Non esiste il paradiso degli autistici, in nessuna parte del mondo, nemmeno in America dove spesso ci illudiamo che esista una cultura più diffusa sulla neurodiversità. A Miami la polizia spara a un ragazzo autistico che aveva in mano un camion giocattolo e ferisce il suo terapista. Pensavano che il camioncino fosse una pistola e non avevano la minima idea di cosa fosse un comportamento problema. Accanto all’autistico c’era il terapista a mani alzate che continuava a urlare che non c’era nessun pericolo. Abbiamo lasciato che Marina Viola da Boston ci raccontasse la storia dal punto di vista di una madre che conosce bene le persone autistiche.
Miami, un giorno come un altro: la polizia riceve una chiamata, che denuncia il fatto che in via Tal dei Tali c’è una persona armata di pistola che dice di volersi suicidare. La persona, che in nessuno degli articoli che ho letto non viene identificata con il suo nome ma soltanto con la sua età e la sua diagnosi, in realtà non solo non è armata, ma non sta neanche tentando di suicidarsi. È un 23enne autistico appena scappato dalla casa-famiglia in cui vive con il suo oggetto preferito: un camion giocattolo. Il suo terapista, Charles Kinsey, raggiunge il suo paziente prima dell’arrivo della polizia e cerca di convincerlo a tornare a casa.
Nel frattempo arrivano i poliziotti, armati di mitra e pronti per un conflitto a fuoco. Un agente nota che l’autistico senza nome ha in mano un oggetto e pensa subito che sia una pistola e gli ordina buttarla a terra. Ordina anche al signor Kinsley di coricarsi per terra e di tenere le mani in alto. Kinsey ubbidisce subito, e spiega alla polizia di essere un terapista comportamentale arrivato sulla scena da pochi minuti per aiutare il suo paziente appena scappato a ritornare a casa. All’autistico senza nome, che appare molto spaventato, viene subito ordinato di coricarsi di fianco al terapista e di lasciare la pistola, ma lui rimane invece seduto per terra, di fianco a Linsey. Non segue neanche l’ordine di lasciare la pistola, anche perché non è una pistola. Invece si mette a urlare anche lui, aumentando la tensione del momento. Il terapista, sempre coricato con le mani in alto, cerca di calmare sia lui che la polizia. “A dire il vero, ero più preoccupato per lui che per me, perché continuavo a pensare: se tengo le mani in alto non mi può succedere niente”.
Uno dei poliziotti, nascosto dietro il tronco di un albero con la pistola puntata sulla scena, continua a urlare degli ordini all’autistico senza nome, il quale, come noi tutti sappiamo, non esegue, in più è spaventato, continua ad urlare, e a dire al poliziotto di andarsene via. Charles Kinsey continua sempre più disperatamente a spiegare all’agente che il suo paziente non è in grado di rispondere agli ordini, e che non è armato. Intanto si forma un gruppo di gente attorno alla scena; alcuni di loro fotografano, qualcuno invece filma
Ad un certo punto, preso dal panico, il poliziotto spara, ferendo Charles Kinsey a una gamba. Il ferito viene a questo punto ammanettato e messo a pancia in giù. Viene anche ammanettato l’autistico 23enne senza nome. Passano circa venti minuti prima che la polizia autorizzi l’ambulanza a portare il ferito sanguinante in ospedale. Quando il terapista chiede al poliziotto perché gli ha sparato, questo risponde I don’t know, e cioé non lo so.
Non viene riportato, oltre al nome del giovane autistico, neanche cosa poi è successo a lui, una volta ammanettato e portato via: dove è stato portarto? Come ha reagito? Ma soprattutto, come sta? Non riesco neanche a immedesimarmi nei suoi genitori, per esempio, o a immaginarmi come potrà affrontare un trauma del genere, dati i suoi limiti dettati dalla sua diagnosi. I giornali riportano una dichiarazione piena di rabbia da parte dell’avvocatessa del terapista. Ma l’autistico senza nome avrà un avvocato? Chi salvaguarderà lui e i suoi diritti? Chi lo aiuterà ad affrontare le ripercussioni di questa orribile esperienza?
E la polizia? Non lo spaeva che in zona c’era una struttura che accoglie persone autistiche? E perché non ha ascoltato le spiegazioni che sono state date riguardo la scena? E più in generale, chi si occuperà di insegnar loro l’ABC dell’autismo? Chi farà in modo di spiegare a tutti questi agenti con il mitra e con il grilletto facile che i nostri ragazzi rispondono diversamente a quello che ci sta attorno, compresi gli ordini della polizia? Come facciamo, alla fine, a non poterci fidare proprio di nessuno?
Tantissime domande, e, come sempre, quasi nessuna risposta.