Una scuola senza sostegno per l'autistico giocoliere…Ma smettete di chiamarla inclusione!
Ai tanti genitori di autistici che mi scrivono sottoponendomi i loro problemi con gli insegnanti di sostegno al rientro a scuola, propongo questo racconto. Lo scrive la madre di Tommy perché se l’avessi scritto io sarebbe molto meno educato. La sintesi: anche per mio figlio andare a scuola è una presa in giro! Così almeno si tranquillizzano quelli che mi mugugnano alle spalle, insinuando chissà quali privilegi io possa ottenere grazie alla mia attività. Allo stesso tempo tolgo ogni illusione a chi mi scrive sperando che io sia dotato di super poteri capaci di risolvere situazioni disperate. Se ne avessi possibilità e mezzi prenderei mio figlio e me ne andrei via con lui lontano da tutto questo. Me ne andrei anche a fare il giocoliere in piazza, purchè sia in un posto dove è possibile sorridere, essere sereni e sentirsi parte dell’umanità. Non posso purtroppo farlo e devo anche io, come voi, mandare giù ogni giorno il boccone amarissimo di chi vede, nell’infingardaggine di oggi, già scritto il destino futuro del proprio fragile gigante. (Gianluca Nicoletti)
Non avrei voluto scrivere anche quest’anno quello che mi accingo a fare. Speravo anzi mi illudevo che le cose sarebbero state più fluide, finalmente, dopo le tante parole spese sui benefici e migliorie che la riforma della Buona Scuola, sensibile ai problemi della “categoria”, avrebbe portato ai bambini e ai ragazzi meno fortunati cosiddetti alunni diversamente abili.
Parlo per me ma ovviamente vorrei che altri genitori avessero la voglia di scrivere e denunciare le “brutte sorprese” del rientro in classe dei propri figli. Quello del mio che frequenta il quarto anno di liceo artistico a Roma si sta rivelando deprimente, triste, ingiusto. Mi immaginavo un’accoglienza migliore per un ragazzo autistico di diciott’anni che aspettava con ansia di rientrare in classe, perché la routine scuola-casa è l’unico mondo che conosce, l’attività scolastica è l’unica chance che ha per rapportarsi con i coetanei “normali” quelli che forse neanche lo notano ma almeno ci sono e gli danno l’illusione di “esserci” pure a lui, di far parte del consesso degli umani e non un inutile vuoto a perdere.
Le vacanze estive sono troppo lunghe per chi non ha il senso del tempo lineare che scorre, quello che noi suddividiamo in mesi, settimane, giorni, ore e minuti. Noi genitori dobbiamo fare i conti con l’ansia delle giornate estive tutte uguali che macinano dentro i nostri figli. E che ci costringe a disegnare un tabellone suddiviso in giorni e date per visualizzare quel tempo lineare indecifrabile e attaccarlo al muro. Su ogni giorno che passa segniamo insieme una X e così l’autistico si tranquillizza perché ha la certezza che si avvicina il giorno fatidico. Per noi è stato il 15 settembre, primo giorno di scuola.
Lo racconto per far capire la mia delusione nell’apprendere che già dal secondo giorno di scuola l’insegnante di sostegno che gli era stata assegnata (addirittura per 18 ore) era sparita. La professoressa che avrebbe dovuto fare la pendolare da Napoli ha avuto un’altra assegnazione, fortunatamente per lei, più vicina a casa sua.
Mio figlio Tommy, a questo punto, si è trovato completamente senza sostegno. Mi sono informata e sembra che, a detta del referente del sostegno “il Miur remi contro la scuola”. In pratica il Ministero arranca, è in affanno, neanche a dirlo, per coprire i posti vacanti degli insegnanti di sostegno E almeno fino a venerdì la situazione non si sblocca.
In attesa si è pensato bene di tamponare l’emergenza con un pool di assistenti, quelle persone cioè che si “spartiscono” con il professore di sostegno le ore di permanenza a scuola dei ragazzi disabili. Di regola sono pagati dalla scuola (con fondi erogati dalla Regione) e fanno parte di cooperative di servizio.
Tommy avrà per tutta la settimana, dunque, ben quattro assistenti che ruoteranno intorno a lui in base al loro ruolino di marcia. Non so se vi rendete conto che cosa significa e che tipo confusione in un autistico può ingenerare questo tourbillon. Fortunatamente almeno due di queste assistenti sono a lui note. Ma conoscendo il soggetto mi immagino che la situazione sarà per lui fonte di sottile e inevitabile stress. Infatti già ha cominciato a riempire di scarabocchi, pupazzetti, ghirigori, segnacci ecc. i lindi quaderni che alla vigilia dell’inizio scuola avevamo acquistato con religiosa trepidazione nella cartoleria. Anche questo faceva parte di un rituale e a Tommy gli brillavano gli occhi perché pensava: “Allora è vero! Si torna a scuola”.
Io non ce l’ho con nessuno. Ormai ci ho fatto il callo. L’anno scorso invece di quattro erano cinque i personaggi che ruotavano intorno a Tommy ma, forse, meglio distribuiti: due prof di sostegno (ignari di cosa fosse l’autismo) e tre assistenti. Tentai di fare la voce grossa ma ci fu qualcuno che la fece più grossa di me facendomi sentire una merdaccia perché per fare un piacere a me avrebbero dovuto togliere ore di sostegno ad altri. Poi successero altre cose più complicate e psicodrammatiche ma alla fine la situazione si sistemò. I prof si rivelarono due insegnanti di grande umanità, davvero presenze positive per mio figlio. Ma erano prof di sostegno per caso; quest’anno insegnano le loro materie (scultura e lettere antiche) altrove. E sono contenta per loro che hanno realizzato un sogno.
Questa volta quello che mi dispiace non sono tanto le ingiustizie che Tommy e quelli come lui subiscono a ogni inizio scuola. Il pachiderma si riattiva con sempre più lentezza, gli acciacchi aumentano anzi si sono cronicizzati. E che mi sono stancata a reclamare giustizia.
Perfino la parola inclusione, in mezzo a tutte queste realtà rammendate con lo sputo, non ha più senso. Per favore non ce la nominate più. E’ una coperta corta e neanche di lana. Forse più di questo non si può chiedere. Forse sarebbe arrivato il momento di pensare a delle scuole specializzate (non a parcheggi indifferenziati ovviamente) dove si ragiona e si lavora in maniera più costruttiva e adeguata alle esigenze formative degli autistici e anche di acquisizione delle autonomie e dunque dell’autostima necessaria per sopravvivere in questo difficile mondo. I nostri ragazzoni fanno anche loro parte della generazione dei nativi digitali. E per certi versi lo sono. Ma purtroppo nelle loro infanzie e adolescenze non sono stati qualitativamente e quantitativamente “terapizzati” per poter spiccare il volo verso una vita autonoma.
Adesso è tardi ma non tardissimo. La scuola potrebbe almeno tentare di aiutarli a colmare alcune lacune, a sperimentare nuove attività, a scoprire potenzialità nascoste.
Ecco perché mi veniva da piangere, ieri, nel vedere i quaderni di Tommy già inzuppati di segni e pupazzetti praticamente identici a quelli che faceva all’asilo. Mi sembra che si stia sprecando tanto tempo prezioso. Ed è questo il vero delitto.