Disabile psichico sequestrato e torturato a Chicago. Il video su Facebook
Le cronache spesso ce lo confermano, un disabile psichico è il bersaglio più “facile”per essere collettore dell’odio, del disprezzo, della frustrazione. Non ci siamo mai illusi in proposito e ce lo siamo ricordati ogni volta che abbiamo visto episodi di violenza cieca e vigliacca verso persone simili ai nostri figli. Ricordiamo per tutti il pestaggio davanti alla discoteca di Olbia di cui parlammo a luglio, riportiamo qui la notizia dell’assurda violenza avvenuta a Chicago, da parte di quattro ragazzi afro americani verso a un loro coetaneo totalmente inerme e incapace di reazione. E’ un atto di discriminazione con movente razzista senza dubbio, ma ci sorprende la velocità che hanno avuto in molti a sottolineare che questa volta a subire il razzismo fosse un “bianco”, senza nemmeno darsi conto del fatto che dietro alla suprema ignoranza di chiunque ancora consideri il colore della pelle un fattore discriminante, ci sia una ancor più profonda radice di odio verso la persona dal cervello “imperfetto”. Un odio diffuso, che generalmente i più dissimulano e non manifestano, ma che è capace di trovare d’accordo i seguaci di ogni ideologia che si fondi sul disprezzo per chi non faccia parte della propria gente, con chi sembra professare da sempre la difesa dei diritti dei più deboli. Nemmeno il presidente Obama che ha commentato il fatto ha speso una parola sul fatto che il ragazzo fosse disabile…!
Marina Viola da Boston ci ha mandato il suo racconto dell’episodio che la tocca da vicino…In tutti i sensi. (GN)
Ieri sera, siccome avevo fatto io la cena, toccava a Dan pulire la cucina, cosa che gli “piace” fare ascoltando CNN ad alto volume, e ogni volta noi in coro gli urliamo dalla sala ABBASSA! Ieri sera stavo sistemando una cosa in cucina mentre CNN dava la notizia più atroce che io abbia sentito negli ultimi anni. Sono cose che non avrei mai voluto sapere e per cui vorrei poter tornare indietro nel tempo di 13 minuti, quando ancora non le avevo ascoltate.
La notizia è questa.
Chicago: un ragazzo disabile psichico di 18 anni viene accompagnato dai genitori a un McDonalds, dove ha un appuntamento con dei suoi amici di scuola per stare insieme e passare la notte a casa di uno. I genitori, contenti dell’invito, lo salutano facendogli le solite raccomandazioni. Una sua compagna di scuola, una ragazza, lo invita a salire su un furgone, che lei e i suoi amici avevano rubato la sera prima, su cui ci sono altre due persone. Tutti più o meno diciottenni, a parte uno, che ha 24 anni. Tutti neri, a parte il ragazzo disabile, che è bianco. Vanno a fare un giro sul furgone, e dopo qualche ora lo portano nell’appartamento dell’amica e lei, sua sorella e i due ragazzi che erano sul furgone cominciano a torturarlo. Sì, loro lo torturano: gli legano le mani, gli chiudono la bocca con lo scotch e cominciano a picchiarlo forte: braccia, gambe, calci sulla schiena, sberle. Gli mettono anche la testa nel water per fargli bere l’acqua. Gli tagliano i vestiti che ha addosso con un coltello, con il quale gli fanno anche un taglio in testa, che comincia a sanguinare molto. Gli spengono una sigaretta in una delle ferite che gli fanno. Ridono, i quattro ragazzi, e mandano il video della tortura, che dura più di un’ora, in diretta su Facebook. Lo insultano, usando termini dispregiativi e razzisti: “Fuck white people! Fuck Donald Trump”, urlano pieni di una rabbia incontrollabile, che riversano senza pietà sul corpo della vittima. Poi una vicina si lamenta per il troppo rumore, e i ragazzi escono dall’appartamento per andare a pigliare a calci la porta della vicina, e il ragazzo disabile riesce così a scappare.
Nel frattempo, i genitori il giorno dopo averlo lasciato da McDonalds, ricevono un messaggio in cui si dice che loro figlio è stato rapito ed è tenuto in ostaggio. Terrorizzati, vanno alla polizia e denunciano la sua scomparsa. Il ragazzo intanto cammina per le strade ghiacciate di Chicago in canottiera, jeans strappati e dei sandali. È visibilmente disorientato, spaventato e soprattutto sanguinante. Gli sanguina la testa, gli sanguinano le braccia. Un poliziotto lo vede e lo ferma, per chiedergli cosa gli fosse successo. Ma il ragazzo non riesce quasi a parlare. Viene portato in ospedale e viene chiamata la famiglia.
Fine della notizia.
Il presidente Obama, originario di Chicago, denuncia il fatto chiamandolo “spregevole”. Aggiunge però, che malgrado questo orribile incidente a sfondo razziale, i rapporti tra giovani bianchi e neri negli ultimi anni sono migliorati. Non ha detto nulla sulla violenza sulle persone disabili, come se fosse consolatorio che una persona disabile venga torturata solo per quello che è e non per il colore della pelle. Mi sono sentita schiaffeggiata anche da quel commento. Mi chiedo davvero chi sia dalla nostra parte, a questo punto.
In questa storia ci sono tutti i miei incubi più profondi: c’è la vulnerabilità dell’essere disabile e non capire certe situazioni. C’è la gioia dei genitori che immaginano che il loro figlio, malgrado la sua disabilità, sia invitato da alcuni amici a passare la notte con loro a ridere e a scherzare. C’è la violenza fisica. C’è la violenza psicologica. L’orrore del coltello che taglia lo scalpo, delle sberle, delle bruciature delle sigarette fatte su una ferita già sanguinante. C’è paura, terrore. C’è il trauma di non sapere dove si trovi il proprio figlio disabile, l’ansia con cui si fa il numero della polizia per denunciarne la scomparsa. C’è l’orrore del razzismo fomentato dal nuovo presidente Trump. C’è la derisione della disabilità. C’è l’uso dei social media per intrattenere gli altri, per sentirsi fighi. C’è una totale mancanza di umanità.
Mentre ascoltavo, contro il mio volere, l’audio del video fatto durante la tortura, mi sono ritrovata a fare gli stessi gesti che fa mio figlio Luca quando non vuole fare una cosa o quando è arrabbiato: mi sono tappata le orecchie con le mani, ho cominciato a urlare e a scalciare, spaventando sia Dan che le mie figlie, che sono accorse in cucina per chiedere cosa stesse succedendo. “Niente”, ho detto. “Non riesco neanche a dirvi quello che ho appena ascoltato”.
Poi sono andata in camera del mio disabile ventenne, vulnerabile, bianco, e quasi sempre felice, e abbiamo cantato insieme la solita canzone di James Taylor, quella su Martin Luther King che ascolta ormai dal novembre del 2015.
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Questa è la sua storia: dal 1991, da quando cioé ha deciso di vivere con il suo fidanzato Dan. La loro prima casa era nel New Jersey, dove ha preso una minilaurea in grafica pubblicitaria. Ha tre figli: Luca, che ha quasi diciannove anni, ha una forma abbastanza drammatica di autismo e una forma strana di sindrome di Down; Sofia, che ha sedici anni ed è più bella di Liz Taylor, è un genio del computer e prende sempre cinque meno meno in matematica; Emma, che di anni ne ha solo otto, ma che riempie un silos con la sua personalità. MarinaViola odia le uova perché puzzano, ma per un maron glacé venderebbe senza alcun senso di colpa tutti e tre i figli. Ha una laurea in Sociologia presso Brooklyn College, l’università statale della città di New York. Da qualche anno tiene unblog in cui le piace raccontare alcuni momenti della sua vita. Ha scritto settimanalmente sul sito della Smemoranda (smemoranda.it) dell’America vista però in modo sarcastico e ironico.
A giugno del 2013 è uscito il suo primo libro, “Mio Padre è stato anche Beppe Viola”, edito da Feltrinelli. Nel suo secondo, “Storia del Mio Bambino Perfetto” (Rizzoli, 2014) racconta di Luca e dell’autismo.