Gli autistici vivono tutti nello stesso Paese delle Meraviglie
Gabriella La Rovere aggiunge una riflessione a quanto scritto ieri sulla “rivalità” tra chi racconta l’ autismo dei propri figli. Chi ha maggiore lucidità di pensiero non può che battersi perché finisca il pregiudizio che divide in due grandi fazioni le famiglie con figli autistici. E’ inutile fare finta che non esista, ci si guarda spesso in cagnesco perchè ognuno pensa che il prevalere di una forma di autismo piuttosto che un’altra nella considerazione sociale, possa condizionare il benessere del proprio figlio. Sia che si abbia in carico un basso funzionamento, come un alto, occorrerebbe invece farsi parte consapevole anche dei problemi altrui, che sono diversi dei nostri, ma non classificabili in una scala di maggiore o minore difficoltà nel doverli gestire materialmente ed emotivamente.
Pochi giorni fa un articolo denunciava l’ignoranza degli studenti in termini di grammatica, ortografia e comprensione del testo. Non mi sono stupita più di tanto, né unita all’onda delle condivisioni sui social. Il risultato è frutto dell’epoca nella quale viviamo caratterizzata da estrema sintesi, da lettura veloce di un testo che non impegni più di 20 minuti, da una ricerca approssimativa delle cause di un certo fenomeno. Tutto rimane in superficie, senza mai andare al cuore delle cose.
Questa è anche l’epoca dei neologismi, di quelle parole che fanno la loro figura con l’hashtag che le precede e la cui popolarità viene misurata dal numero di tweet che rimbalzano in rete. E tra questi “disabilicidio” è la più brutta perché chi viene ucciso è una persona, oltre che un disabile.
Sembra che questa parola stia diventando molto popolare, tanto che la usano tutti, anche i genitori di ragazzi con disabilità. Questa è la cosa che mi piace meno, così come la guerra che si consuma sui social tra gli stessi genitori. La divisione presente è il motivo per il quale i nostri figli sono l’ultimo dei pensieri di chi ci governa. La separazione fonda le proprie radici sulla frustrazione di ognuno di noi, su quello che avremmo potuto fare, sui sogni infranti, sull’imbarazzo di dover spiegare agli altri il comportamento così particolare di nostro figlio, sulla rabbia che talvolta ci prende e della quale ci vergogniamo.
L’autismo è poi una patologia bastarda che crea eccellenze da un lato e grave disabilità dall’altro. Non è colpa di nessuno. C’è chi ha avuto più fortuna e chi meno, così come c’è chi ha sacrificato vita, energia e denaro per dare al proprio figlio tutto quello che lo Stato da sempre nega, causa un’austerity che ci portiamo appresso dal 1973.
Tutto questo bailamme però non sconvolge i nostri figli, quelli con ritardo cognitivo di grado lieve-moderato. Capiscono perfettamente di cosa si sta parlando ma sono altrettanto sicuri di essere unici nella diversità. Non è così strano. Durante l’adolescenza ognuno di noi è stato oggetto di scherno, vuoi per l’eccessiva magrezza o per i chili di troppo. Abbiamo sofferto e ne siamo usciti pensando alle cose nelle quali eravamo particolarmente bravi e che causavano invidia negli altri.
I nostri figli non sono così diversi da noi, hanno però bisogno di trovare senso nella loro vita e questo è compito del genitore, che si tratti di fare i tortellini a mano, o suonare le percussioni, o dipingere, o essere un atleta. Siamo noi che dobbiamo costruire il loro futuro, né più né meno di quello che siamo disposti a fare con un figlio sano.
Lasciamo il grullautismo e il genialoidautismo nella Terra di Mezzo perché le poche forze che abbiamo devono servire per costruire la nostra migliore impresa: la felicità di nostro figlio, che è un diritto universale, non inserito tra gli indici di welfare.