Buco Nero

Le persone con disabilità e l’esclusione mascherata

Illustrazione di Thomas Ott

Persone con disabilità gravi con problemi del comportamento e la difficoltà di essere accolti nei servizi perchè ” troppo difficili da gestire”. L’articolo che segue fotografa un ulteriore aspetto della sanitarizzazione del sistema e propone spunti di riflessione che vengono dal modello della qualità di vita. L’autore  è Serafino Corti – Direttore del Dipartimento delle Disabilità di Fondazione Sospiro e Docente di Psicologia delle Disabilità, Università Cattolica del S. Cuore (sede di Brescia). Avevamo già pubblicato una sua importante riflessione “Regione Lombardia: dopo di noi solo per autistici senza comportamenti problema.”  

L’articolo è ripreso da “Lombardia Sociale.it”

 
 

Come siamo messi a “qualità della vita”?

Qualche giorno fa, cominciando a preparare la mia relazione al convegno sulla qualità di vita per le disabilità quest’anno focalizzato sul tema di “Progettare il Futuro”, ho ripreso un testo a me molto caro e a cui  sono molto legato, non solo perchè mi fu regalato dall’autore, professor R. Schallock, con l’invito a “fare la nostra parte” ma, soprattutto, perchè ogni volta che lo riprendo scopro che non l‘avevo compreso appieno. Un libro insomma che sa regalarmi ancora, dopo alcuni anni, nuove suggestioni motivanti oltre che utili.

Il testo[1] affronta uno dei temi centrali della discussione di questi ultimi anni anche nella nostra regione. Come incrementare la Qualità di Vita (QdV) delle Persone con Disabilità (PcD)?

Sappiamo tutti che la risposta a una domanda così complessa è necessariamente molto articolata. Tuttavia, per quanto in modo sommario, possiamo identificare delle azioni, delle condizioni, più o meno salienti, che certamente vanno nella direzione di accrescere e sostenere una vera vita di qualità. Tra tante azioni o condizioni che possiamo promuovere ve ne è una, forse la più importante e certamente tra le più cruciali che non possiamo eludere perché sta alla base del percepito soggettivo di vivere una vita unica, esclusiva ed importante proprio perché è “nostra”.  È la possibilità di poter seguire le nostre più alte aspirazioni e desideri, poter coltivare i nostri valori, poter scegliere di frequentare le persone che amiamo di più, vivere negli ambenti che ci piacciono maggiormente e così via.

I clinici, gli addetti ai lavori, chiamano questa condizione AUTODERMINAZIONE[2] (uno degli 8 domini della QdV di B. Schalock), il mondo della politica utilizza un termine, non perfettamente sovrapponibile ma molto vicino, quello che si suole definire  LIBERTA’ di SCELTA.

Ora, se mi chiedessero “Come sono messe le Persone con Disabilità ad Autodeterminazione ed in termini di Libertà di scelta?” risponderei così: “molto meglio di un tempo ma non molto bene”. Capire cosa è più importante per la Persona con Disabilità e, conseguentemente, provare a promuoverlo per lui è spesso ancora una speranza più che una realtà. Infatti, nonostante la domanda “cosa è più importante per te e come posso garantirtelo” sia molto più frequente che in passato all’interno dei percorsi di sostegno e nella definizione del progetto di vita, registriamo un delta, una distanza, spesso ancora abissale tra la dichiarazione del principio dell’importanza del porre la domanda e la capacità di sapere davvero “indagare” questi desideri e valori e saperli conseguentemente garantire.

L’ostacolo dell’“esclusione mascherata” per le persone con comportamenti problematici

Potrei portare tantissimi esempi della vita quotidiana in cui alla Persona con Disabilità, soprattutto se in una condizione di gravità, non è garantita l’autodeterminazione. Tra i tanti vorrei focalizzarmi oggi su uno in particolare di cui non si parla mai ma che ha un grande impatto sulle persone, sulle loro famiglie e sui servizi stessi. Ancora troppo spesso chi versa in condizioni di gravità riconducibili ad importanti problematiche del comportamento non possono autodeterminarsi nella scelta del luogo in cui vivere per via di un fenomeno che io definisco Esclusione Mascherata. In sintesi, è l’impossibilità di molte persone con disabilità con severi disturbi della condotta di scegliere in quale RSD vivere, perché i servizi e il sistema di sostegno ai servizi ritengono la persona troppo difficile da “gestire”. Questa situazione è una grave violazione ai principi della qualità di vita perché non solo la persona si vede negato il diritto ad un trattamento in ragione di limiti non suoi, ma di un servizio che non possiede la necessaria dotazione professionale per trattarla con efficacia o di presunte o reali difficoltà nella gestione.

Queste persone che vivono già  una condizione di fragilità e sofferenza e che avrebbero il diritto ad un trattamento efficace si trovano paradossalmente a subire un “surplus” di emarginazione da parte di servizi istituzionalmente preposti ad erogare loro sostegni e cura. Sono persone  che spesso non entrano nelle statistiche ufficiali ma che, a mio avviso, riflettono davvero la nostra capacità di includere.  È difficile allora parlare di autodeterminazione e di libertà di scelta nella disabilità finché le persone che più faticano ad autodeterminarsi resteranno ai margini della comunità e, magari, addirittura esclusi da una rete concepita e pensata precipuamente per loro

Questa è una condizione cui ci troviamo sovente ad assistere: accogliere in RSD persone che altri espungono e verso i quali si assiste ad una vero e proprio collasso educativo ed abilitativo. È in questa condizione di contraddizione che il libro di B. Schalock mi sembra possa offrire contributi salienti e significativi.

Che fare? Qualche suggerimento dal modello della Qualità di Vita

Il testo, riprendendo l’articolo seminale sulla qualità della vita (QdV) del 2002[3],  è chiaro e diretto nell’analizzare come affrontare le sfide complesse ed immaginare di progettare e realizzare le risposte alle tante criticità che oggi vivono le Persone con Disabilità. Il manuale non propone chiaramente ricette ad hoc ma propone un metodo di analisi dei “problemi” e di implementazione di risposte per l’applicazione della QdV.

Offrire risposte credibili al tema della QdV richiede di operare contemporaneamente su 4 livelli:

  1. A livello microsistemico: impegno della Persona con Disabilità o degli operatori
  2. A livello mesosistemico: impegno del contesto vicino alla Persona con Disabilità (le organizzazioni, la comunità, i servizi)
  3. A livello macrosistemico: impegno dei legislatori
  4. A livello metodologico mediante la pratica ed il rispetto di interventi basati sulle best practices fondati sulle evidenze.

Solo quando questi 4 livelli si parlano, si integrano, discutono e si muovono nella stessa direzione è possibile giungere ad offrire risposte in tema di QdV che siano coerenti e diffuse.

L’applicazione dello schema a “quattro livelli” al fenomeno che ho definito di “Esclusione Mascherata”, consente di individuare, ad ogni livello, diverse azioni operative che andrebbero nella direzione di offrire maggiori opportunità di Libertà di Scelta.

A livello microsistemico. Sarebbe facilissimo elencare quanti interventi si possono fare per implementare le capacità comunicative e adattive delle Persone con Disabilità per decrementare i comportamenti problematici ma preferisco però focalizzarmi sul ruolo di noi operatori, e delle barriere e dei facilitatori, che ci permettono/impediscono di rispondere al bisogno di sostegno di questa particolare popolazione con disabilità. Non sarà davvero possibile accogliere Persone con disabilità con problematiche della condotta o con psicopatologie  finché non diventeremo consapevoli dei rischi, delle fatiche e delle paure che ciascuno di noi deve affrontare. Va detto con grande chiarezza, per evitare ogni fraintendimento, le persone con problemi del comportamento si fanno male e spesso fanno del male. Per sostenerli dobbiamo correre il rischio, restando a contatto con la paura, di una relazione che in taluni momenti sarà difficile e apparentemente senza uscita. Essere consapevoli significa per me stare in quella condizione, non evitarla o fuggirla ma provare a fronteggiare questa legittima paura facendo in modo che la nostra condotta personale professionale sia comunque guidata dal nostro orizzonte di valori e dalla nostra mission.

A livello mesosistemico le organizzazioni e, all’interno di queste, noi stessi, in qualità di responsabili dei servizi d’accoglienza, acquisiscono un ruolo centrale. Ai servizi sta infatti la scelta di provare ad accettare la sfida dell’accoglienza di questa popolazione operando su due fronti: a) fornendo agli operatori i sostegni necessari per affrontare quella relazione così critica attraverso percorsi formativi, supervisioni cliniche e di sostegno alla motivazione; b) modificando i propri ambienti e sistemi organizzativi per adeguare queste ultime alle Persone con Disabilità. Nella capacità di modulare il proprio assetto organizzativo e gestionale  si gioca la differenza tra un servizio e una un’unità d’offerta.

A livello macrosistemico alberga il ruolo che possono assumere le istituzioni politiche.   Anche il mondo della politica ha un ruolo fondamentale, al quale non può sottrarsi, se intende affrontare la sfida della qualità della vita per questa parte di cittadinanza.    Al sistema regionale tocca il compito, non solo di definire sostegni e risorse economiche adeguati ai bisogni, ma anche definire regole di sistema che tengano conto di questa situazione operando per favorire l’inclusione anche di questa popolazione. È necessario che la Regione pensi e realizzi sistemi di appropriatezza che smettano di essere delle check list esclusivamente procedurali cominciando a focalizzarsi sugli indicatori di esito degli interventi erogati (almeno su alcuni esiti personali e clinici). Ritengo questa una questione etica e che rimanda ad un tema di coscienza: cosa facciamo davvero per queste persone? Se un servizio per la gravità non accoglie o dimette persone considerate “non gestibili” che senso ha sottoscrivere che il servizio è pienamente appropriato? Questa scelta di investire sull’appropriatezza clinica è tanto più cruciale quando, come in questa fase, si hanno risorse limitate che andrebbero pertanto spese ed investite verso quella efficacia clinica e gestionale che tutti dicono di volere perseguire.. Regione Lombardia potrebbe quindi riconoscere, se non premiare, l’impegno in questa direzione. Potrebbe permettere alle èquipe di appropriatezza delle ATS di andare oltre l’analisi del FASAS e valutare cosa concretamente si fa chiedendo, ad esempio, come va con le Persone con Disabilità con problematiche del comportamento. Quanti ne sono stati accolti e sostenuti e quanti dimessi o valutati inammissibili. Le ATS e la Regione avrebbe così anche degli indicatori oggettivi, clinici e di qualità, per decidere come e a chi attribuire il premio di qualità!

Best practices. In relazione al livello che ho definito delle best practices, a me peraltro molto caro, sarò brevissimo. Abbiamo la necessità di contemperare gli interventi a partire da un piano basato sull’etica (coscienza) con quello basato sulla scienza e sulle evidenze. Non si può rispondere ai bisogni di sostegni delle Persone con Disabilità con problemi del comportamento, senza un livello di competenza e specializzazione adeguata.  Occorre che la formazione clinica specialistica, anche per il trattamento dei problemi comportamentali, sia una esigenza e un’abitudine consolidata e non un orpello meramente estetico. Fare e mantenere la formazione degli operatori a favore delle  persone con disabilità gravi con comportamenti problematici non è certo facile , per darsi un’idea basta anche una rapida disamina di alcune  linee guida, come ad esempio quelle della NICE (National Institute for Health and Care Excellence: U.K. https://www.nice.org.uk). Questo per dire che non basta solo voler bene alle persone con disabilità. Per fare il bene occorre saperlo perseguire, in scienza e coscienza, nella consapevolezza che le persone con disabilità staranno meglio o peggio non in relazione alla eleganza delle cose che diciamo ma delle cose che, in modo fondato ed evidente, facciamo.

Serafino Corti

 

 

 

 


[1] R.L. Schalock, Miguel Verdugo Alonso. Leadership Guide for Today’s Disabilities Organization: Overcoming Challengers and Making change Happens. 2012

[2] “autodeterminazione significa essere agire in qualità di agente causale primario della propria vita, il fare scelte e prendere decisioni in merito alla propria qualità di vita liberi da interferenze ed influenze improprie” M. Wehmeyer 2001

[3] R.L. Schalock et alii. Conceptualization, measurement and application of quality of life for people with intellectual disabliies: report of an international panel of experts.  2002

 

 

Redazione

La redazione di "Per Noi Autistici" è costituita da contributori volontari che a vario titolo hanno competenza e personale esperienza delle tematiche che qui desiderano approfondire.

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