I genitori di autistici e Facebook
Tutte le famiglie felici sono simili le une alle altre; ogni famiglia infelice è infelice a modo suo (Tolstoj).
La nascita di un figlio disabile mette fine al sogno di avere un figlio perfetto. Da questa fase a quella successiva di accettazione della disabilità intercorre un tempo variabile nel quale si mischiano senso di colpa, vergogna verso se stessi e verso il figlio, rabbia, impotenza, depressione e nuovo slancio propositivo, sentimenti che si ripropongono ad ogni stadio evolutivo del figlio.
Da una ricerca condotta anni fa su un centinaio di famiglie, è emerso che il bisogno primario della famiglia subito dopo la diagnosi sia quello di non sentirsi sola e abbandonata. A questo va aggiunta la scarsa informazione o, quanto meno, un’informazione insoddisfacente che li porta a cercare su internet le risposte alle loro molteplici domande. E qui si entra in una vera e propria giungla dove è facile essere irretiti perché alla ricerca di un qualcosa che possa aggiustare definitivamente quel figlio. I genitori devono invece essere aiutati a riscrivere la loro vita in funzione di quel figlio, niente di più o meno del caso in cui si vengano a trovare di fronte ad altre patologie (diabete, cardiopatie congenite, nefropatie) nelle quali risulta meno faticosa l’accettazione. Ciò che manca è un modello di comportamento, cosa fare quando ci si trova in determinate situazioni e non sempre gli specialisti sono in grado di fornire risposte adeguate. Ecco che la rete consente di confrontarsi con altri genitori e trovare le risposte al problema del momento.
La rete mette in comunicazione più elementi contemporaneamente, ha uno sguardo allargato come non sarebbe possibile in situazioni normali, dà voce a ognuno e le opinioni compaiono sullo schermo in successione rapida; è effettivamente quanto di più utile per una famiglia in difficoltà. La voglia di riscatto, di avere ciò che è giusto dalla vita, porta molti genitori a creare dei gruppi su facebook. Alcuni, inizialmente aperti, si chiudono quando qualcuno non è allineato con il pensiero del fondatore, quando ha leciti dubbi e pone dei distinguo. I gruppi su facebook sono delle isole di dittatura dove il dialogo non è possibile oltre un certo tempo anche perché ognuno ha la propria vita e il figlio da accudire e questa finestra virtuale sul mondo, l’unica possibile per certe persone, deve essere necessariamente chiusa.
La dialettica operata nei social network è incompleta perché manca dell’apporto visivo, della parte di comunicazione non verbale che è fondamentale e che spesso ne condiziona l’evoluzione. È importante guardarsi negli occhi, sentire le modulazioni della voce, il respiro, la gestualità. Le parole scritte, decontestualizzate da tutto il corollario precedente, rimangono per l’eternità, sono una memoria scomoda che diventa difficile da superare. Il rancore sui social non può essere vinto con un caffè bevuto al bar e quattro chiacchiere. La rete è vero che ci rende vicini mantiene le distanze sia fisiche che psichiche.
Anche sui social è importante essere accettati e questo si misura con il numero di like ottenuto ad ogni intervento, valore che rimbalza in maniera esponenziale nel gruppo degli amici. Non è solo importante riceverli, ma anche darli perché aumenta la visibilità e ci si sente meno isolati. In una persona che vive giornalmente la propria frustrazione, perché genitore di un figlio disabile, avere dei like accresce l’autostima, fa sentire potenti. Ci sono i like di consolazione perché la propria vita è veramente tra le più difficili e i like di ammirazione perché il processo di resilienza è avvenuto e il soggetto ha riscritto in modo soddisfacente la sua intera esistenza.
Chi dà i like di consolazione si sente in qualche modo migliore; è la consapevolezza che c’è chi sta peggio che dà nuovo slancio e fa sentire più forti. Chi dà i like di ammirazione spesso cova dentro di sé l’invidia; inizialmente non se ne accorge ma ben presto alla stima si sostituisce il livore, la critica perché la vita lo ha penalizzato in termini di opportunità sociali ed economiche. Se anche lui avesse avuto tutto quello che ha avuto l’altro, ora avrebbe un’altra esistenza. A quel punto il nuovo obiettivo, tutt’altro che resiliente, è buttare giù dal piedistallo il suo simile per poterci salire.
Sui social si possono trovare pagine di associazioni e gruppi di persone unite da uno scopo o un problema. Le pagine sono pubbliche e principalmente divulgative. Si parla di convegni, di iniziative per la raccolta fondi, di corsi di aggiornamento, progetti e incontri con le famiglie. La parte sociale della vita associativa è molto rappresentata, ci sono diverse foto di gruppo, tutti seduti attorno a un tavolo di lavoro o di un ristorante, immancabilmente sorridenti perché è importante dare un’immagine positiva e di normalità sia in chi lo vive in prima persona che solo di riflesso. Alcuni gruppi discutono sulla validità di farmaci (ad esempio ripamicina, risperidone), altri combattono crociate, tipiche quelle contro le vaccinazioni e la malasanità. In questo caso manca un moderatore che abbia provate conoscenze scientifiche che possa controbattere a tante falsità che alimentano speranze.
Sergio Lepri ha affermato che internet sia un mare appassionante da navigare ma che alla lunga stanca facendo preferire il guardarlo solamente dal porto. Nel caso di genitori con figlio disabile è invece un mare aperto dove è possibile affogare.
Gabriella La Rovere