Tutti bravi a fare gli autistici con il cervello degli altri…
Gabriella La Rovere racconta le sue impressioni sulla lettura di “Io, figlio di mio figlio”. Si dirà che cerco consensi chiamando a raccolta gli amici (che Gabriella lo sia è innegabile). E’ vero cerco letture “amiche” del mio lavoro, non per essere difeso, so difendermi da solo e anche bene, solamente per capire meglio le ragioni degli “scandalizzati” che non riesco a sinceramente a vedere. Resta valido l’invito di ospitare ogni giudizio, purché segua a una reale e attenta lettura del libro, non basato sullo slogan che fanno girare nei social i quattro soloni dell’autsimo tastierista. Penso che il vero punto dolente che ho toccato sia proprio l’idea che risulta molto difficile immaginare di poter vivere in prima persona il “bullismo neurotipico” da cui abbiamo sempre cercato di salvaguardare i nostri ragazzi. Sto capendo finalmente quanto siano tutti bravi a fare gli autistici con i cervelli degli altri, mettere in gioco il proprio si vede che non è non è un affare semplice…(GN)
Che l’autismo abbia una forte componente genetica non dovrebbe stupire dal momento che esistono delle forme secondarie a malattie rare nelle quali è stata dimostrata la mutazione di uno o più geni. È perciò altamente probabile che l’autismo cosiddetto primario o primitivo segua lo stesso percorso.
Gianluca lo ha potuto dimostrare come atto definitivo ad allusioni sul suo modo di relazionarsi con gli altri, aspetto che non è mai stato un problema fintanto che la sua schiettezza non ha profanato il mondo dell’autismo e della disabilità in genere, mettendo in evidenza contraddizioni e ipocrisie.
Ricordo un programma radiofonico cult nel quale persone comuni intervenivano telefonicamente quasi anelando di essere “moto segati” in diretta. Gianluca riusciva ad essere pungente, finemente ironico, mai volgare, e la gente si divertiva conquistandosi un minuto di popolarità. Le magliette con la scritta in russo, che quasi nessuno capiva e per la quale ho sempre avuto il sospetto che fosse scritto altro (sarebbe stato un bello scherzo!), sono andate a ruba e ognuno le ha ostentate con orgoglio perché era la dimostrazione di aver partecipato al programma.
Niente è cambiato nel suo modo di raccontare la realtà, ma nel momento in cui sono state messe in evidenza le tante incongruenze che abitano nella disabilità e che vengono mantenute da gente priva di scrupolo a discapito di genitori sfiniti, desiderosi di normalità, ecco che quelle stesse persone che lo apprezzavano sono diventate il suo peggior nemico, pronte all’insulto social, spesso assolutamente immotivato e gratuito.
Il carattere non semplice di Gianluca ha avuto la sua spiegazione scientifica e lo ha raccontato in un libro che, per la prima volta, trasuda sofferenza interiore, molto più dei precedenti. Per quanto abbia gli strumenti intellettivi per affrontare un’epifania del genere, la diagnosi ha avuto bisogno di essere metabolizzata, esorcizzata, resa innocua. La scrittura consente questo, è il transfert per eccellenza in persone timide e poco empatiche.
In 240 pagine Gianluca racconta per la prima volta di sé, della famiglia, del lavoro, rimettendo a posto i tanti tasselli della sua vita, alla luce di una nuova consapevolezza che lo rende più determinato a portare a termine l’ultima battaglia: la ricerca della felicità per sé e Tommy. Un desiderio legittimo, lo stesso di ogni essere umano ma Gianluca è altro per intelligenza, eloquenza, e questa sua diversità irrita.
Non credo di aver mai pensato che lui fosse un Aspie, ma alla luce della sua diagnosi osservo attentamente la risposta emotiva che il libro ha provocato. Ipotizzare che sia possibile che un genitore, un parente abbia una qualche forma di neuro diversità ha sortito l’effetto di una bestemmia in chiesa. Ogni genitore si è sentito offeso, è rimasto avviluppato alle parole, non capendo il significato profondo di ciò che Gianluca vuole comunicare. Questo essere geneticamente coinvolti rende più importante ed incisiva la battaglia per il riconoscimento della neuro diversità come ulteriore espressione umana, non come patologia da relegare in luoghi chiusi.
L’atteggiamento di sfottò fino alle aggressioni verbali dei genitori sui social ricalca la forma di bullismo che gli stessi denunciano per altri disabili. Solo che Gianluca è in grado di rispondere adeguatamente alle offese, ma questo non significa che la cosa non sia spiacevole anche per chi semplicemente osserva dall’esterno quello che accade.
Sono stati scritti tanti libri sull’autismo, ne ricordo uno la cui crudezza, spesso pretestuosa, mi aveva infastidita arrivando a pensare che ci fosse stato un lavoro di revisione volto puramente al marketing. Quel prodotto letterario ebbe un incredibile successo e non ricordo nessun genitore impegnato in alcuna battaglia ideologica, piuttosto nella possibilità di entrare nel giro delle amicizie social dell’autore e magari riuscire a farsi un selfie con lui.
Io, figlio di mio figlio è il libro più autobiografico che Gianluca abbia scritto; dei tre è quello che ha reso più evidente l’ipocrisia di questa società, spaventata e quindi infastidita da ogni forma di diversità.
Gabriella La Rovere