Pensare Ribelle

Anche il papà di Gulliver era un cervello ribelle!

Jonathan Swift era una persona autistica ad alto funzionamento? Sembra proprio di sì e nel libro “The genesis of artistic creativity” lo psichiatra Michael Fitzgerald scrive che Swift soddisfa quattro dei sei criteri di Gillberg per la sindrome di Asperger, non essendoci corrispondenza certa riguardo il linguaggio ed eventuali problemi motori.

A questo punto la logica conseguenza è stata rileggere “I viaggi di Gulliver” con un’altra attenzione, scoprendo così che si tratta della migliore espressione artistica di una mente con neurodiversità. L’opera si compone di quattro libri: il primo narra del viaggio all’isola di Lilliput, con la vicina isola di Blefuscu, entrambe popolate da uomini alti 15 cm; il secondo a Brobdingnag abitata da giganti; il terzo all’isola di Laputa e l’ultimo all’isola degli Houyhnhnm, esseri con sembianze di cavallo, dotati di grande intelligenza.

La prima cosa che colpisce è l’ossessione nel definire ogni cosa tramite le dimensioni che, da un punto di vista narrativo, tende a rallentare e rendere estremamente noiosa la lettura, ma che ben caratterizza una mente neuro diversa che ha bisogno di concretezza reale e raffigurata.

Sia a Lilliput che a Brobdingnag, Gulliver si sente fuori posto, non in grado di adattarsi; nella prima isola viene trovato un tempio vuoto in grado di ospitarlo e nella seconda viene costruita una scatola speciale con la quale trasportarlo agilmente. Questo disadattamento è ulteriormente confermato da un comportamento che offende il comune senso del pudore degli abitanti di Lilliput causando il suo allontanamento. Quando scoppia un incendio nell’appartamento dell’imperatrice, Gulliver contribuisce a spegnere il fuoco con una prontezza di spirito insolita per uno come lui

La sera precedente avevo bevuto abbondantemente un vino bianco chiamato in paese Glimigrim, proveniente da una provincia di Blefuscu (dove vien chiamato Flunec) e che è molto diuretico; e per una straordinaria fortuna non mi ero ancora potuto scaricare la vescica. Sicché cominciai a orinare con sì grande abbondanza, dirigendo il getto così abilmente nei punti opportuni, che in tre minuti l’incendio fu spento, e il resto di quel mirabile edifizio, che era costato immensi tesori, fu salvato da una fatale rovina.

In altri punti si trovano situazioni che potrebbero fare parte di un racconto erotico, ma che Swift descrive con una naturalezza priva di qualsiasi malizia, tipica della neurodiversità, perché considerata assolutamente normale

Spesso le damigelle d’onore della regina invitavano Glumdalclitch a portarmi nelle loro stanze per potermi non soltanto vedere, ma anche toccare; ciò che sembrava dilettarle assai. Esse si divertivano a spogliarmi nudo e poi m’introducevano nel loro seno. Questo svago mi piaceva pochissimo, a causa dell’acre odore che tramandava la loro pelle.

La più belloccia di codeste damigelle, una ragazza di sedici anni, una vera pazzerella, si divertiva qualche volta a mettermi a cavallo sopra uno dei suoi capezzoli

In Brobdingnag, la prospettiva di Gulliver sui giganti che lo circondano gli dà una visione microscopica delle loro pelli, dei pidocchi e di altre imperfezioni visibili solo a lui, producendo una repulsione che conferma il suo isolamento autistico. La rappresentazione dell’alterata percezione, visiva e olfattiva è un altro indizio della neurodiversità che permea il romanzo

Il capezzolo era grosso metà della mia testa e intorno ad esso e sulla poppa stessa v’eran tante macchie, gonfiori e screpolature da renderne l’insieme veramente schifoso

Ma questo era niente in confronto alla vista schifosa dei pidocchi che se la spasseggiavano tra i cenci di quei pezzenti: ne vedevo a occhio nudo i vari membri meglio che non si vedano da noi con la lente convessa, e potei osservare che avevano il muso quasi porcino.

In ogni situazione particolare, Swift non usa aggettivi qualificativi, non riempie il racconto di parole, ma utilizza esempi pratici, estremamente precisi, come nel caso della decapitazione di un malfattore. Dalle arterie del collo uscì uno zampillo di sangue più alto del grande jet d’eau del parco di Versailles

Il terzo libro è sicuramente la parte più interessante e l’isola di Laputa può essere considerata la patria delle persone autistiche. È il regno della stramberia, del disadattamento. La descrizione degli abitanti riporta alla mente atteggiamenti comuni alla neurodiversità, il loro tenere la testa inclinata a destra o a sinistra, lo sguardo obliquo. Sono persone di particolare intelligenza, talmente assorti nei loro pensieri che sono accompagnati da un servitore che ha il compito di percuoterli sulla bocca, occhi o orecchi – e quindi sugli organi di senso – con una vescica in pelle, ripiena di sassolini, appesa a un bastoncino.

Giunto al palazzo fummo introdotti alla presenza del re, il quale stava seduto sopra un trono, circondato dai personaggi più ragguardevoli. Egli aveva davanti a sé un tavolone ingombro di globi, di mappamondi e d’ogni sorta di strumenti di geometria. Il frastuono fatto dalla gente che mi accompagnava non lo fece affatto riscuotere, tanto era sprofondato nella soluzione d’un certo problema; e dovemmo aspettare circa un’ora prima ch’egli finisse codesta operazione. Due paggi stavano ai suoi lati, con le loro vesciche; e quando il re ebbe finito il suo lavoro, uno di essi lo colpì piano e con grande rispetto sulla bocca, l’altro sull’orecchio destro. Parve che sua maestà si destasse di soprassalto.

Il cibo usato è soprattutto alimento per la mente: i primi piatti hanno forme geometriche, i secondi quelle degli strumenti musicali; il pane è tagliato in coni, cilindri, parallelepipedi.
Le idee di questa popolazione eletta si manifestano in linee e numeri. Se vogliono lodare la bellezza di una donna, la descrivono per mezzo di elementi geometrici e con parole tecniche dell’arte musicale. Accanto a loro vive la gente comune, di scarso intelletto, che non comprende le informazioni che scientifiche vengono loro fornite così che nascono continui errori.

Le loro case erano costruite malissimo; i muri delle stanze non avevano neppure un angolo regolare. Questi inconvenienti dipendevano dal disprezzo nutrito da codesta gente per la geometria applicata, che veniva da essi considerata come scienza volgare e meccanica. (…) Invenzione, immaginazione e fantasia restano loro così estranee, che la loro lingua non contiene neppure le parole equivalenti a codesti tre concetti.

Nel romanzo ricorre spesso il numero tre, il numero perfetto, e questa non può essere una semplice casualità, soprattutto quando compare due volte nella stessa frase. Il capitolo terzo del terzo libro è infarcito di nozioni matematiche difficili da seguire; si parla dello spostamento dell’isola di Laputa per mezzo di un enorme ago calamitato affidato ad alcuni astronomi. Questi hanno osservato novantatre diverse comete, hanno catalogato diecimila stelle fisse e scoperto due satelliti di Marte, di cui il più vicino al pianeta dista dal centro di questo quanto tre volte il suo diametro, e il più lontano cinque volte. Questo è un elemento importante se consideriamo che il libro fu pubblicato nel 1726, mentre i due satelliti Deimos e Fobos vennero scoperti nel 1877.

Gulliver lascia l’isola di Laputa e viene condotto a Balnibarbi, sempre facente parte dello stesso regno con capitale Lagado. Qui la situazione è diversa, manca la genialità, c’è la tendenza ad arrangiarsi. Circa quaranta anni prima alcune persone erano andate a Laputa e dopo cinque mesi erano tornate a casa con una infarinatura di matematica e con la presunzione tipica degli ignoranti e degli stupidi. Decisero così di fondare un’accademia che raccogliesse tutte le arti e le scienze, ma con nuovi presupposti. Qui Gulliver vi trova un inventore piuttosto malconcio, con barba e capelli lunghi, che lavora da otto anni all’estrazione di raggi solari da un cetriolo; c’è l’architetto che aveva studiato il modo di costruire le case partendo dal tetto; un cieco che aveva il compito di mescolare i colori per i pittori; il medico che usava un grande mantice, dotato di un becco lungo e sottile che, introdotto nell’ano, risucchiava l’aria dalle visceri curando le coliche.

La cosa che colpisce in tutto il romanzo è l’incapacità di Gulliver di comunicare con gli abitanti delle terre che si trova ad esplorare; anche quando è nello stesso regno, come è nel caso di Laputa e Balnibarbi, i cittadini parlano lingue totalmente diverse. Tutte le volte che impara la lingua del posto, succede qualcosa che lo allontana e lui deve ricominciare tutto daccapo, suggerendo la consapevolezza della difficoltà della comunicazione nella neurodiversità.

 “I viaggi di Gulliver” è stato da sempre considerato un libro per ragazzi per la grande fantasia e per le situazioni che nella loro assurdità invitano a sorridere. È invece un libro importantissimo, che dovrebbe fare parte delle letture di chi si occupa di neurodiversità perché offre spunti importanti per capire un altro modo di ragionare o di raccontare.

Gabriella La Rovere

Redazione

La redazione di "Per Noi Autistici" è costituita da contributori volontari che a vario titolo hanno competenza e personale esperienza delle tematiche che qui desiderano approfondire.

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