L’intensità o la metodologia dell’intervento in bambini con Disturbo dello Spettro Autistico: cosa fa la differenza?
I progressi ottenuti in ambito clinico hanno permesso di individuare precocemente i sintomi ascrivibili al Disturbo dello Spettro Autistico, permettendo di porre diagnosi già durante il primo anno di vita.
Il perfezionamento delle tecniche clinico-diagnostiche ha permesso alle famiglie di intraprendere repentinamente un percorso d’intervento mirato al supporto dell’acquisizione delle tappe di crescita del bambino, potenziando le abilità compromesse e monitorando le traiettorie di sviluppo nel tempo.
Nonostante sia ampiamente dimostrato quanto la tempestività d’intervento possa influenzare la prognosi, sono ancora pochi gli studi che confrontano l’effettiva efficacia di un intervento comportamentale rispetto ad un altro, ed anche l’intensità di questi in base alle caratteristiche del soggetto con autismo.
Sebbene sia ampiamente riscontrato in letteratura che gli interventi comportamentali “evidence-based” determinano un miglioramento della sintomatologia, le prescrizioni relative all’intensità spesso risultano essere basate sulla buona prassi clinica e sull’expertise del clinico, piuttosto che su prove sperimentali.
Per questo motivo può risultare complesso per il clinico rispondere alle frequenti domande dei genitori che ricevono una prima diagnosi, orientate su quale sia l’intervento più adeguato e con quale frequenza settimanale.
Pertanto, per colmare la mancanza di dati, Rogers e colleghi nel 2020 hanno condotto e pubblicato sulla prestigiosa rivista “Journal of the American Academy of Child & Adolescent Psychiatry” uno studio randomizzato a singolo cieco, che ha confrontato l’efficacia di due interventi “evidence based” sia per quanto riguarda la tipologia (Early Intensive Behavioral Intervention “EIBI” vs Early Start Denver Model “ESDM”) sia per quanto riguarda l’intensità di trattamento (15 ore settimanali vs 25 ore settimanali), monitorando i progressi ottenuti dai singoli bambini nell’arco di 12 mesi.
In particolare:
- il trattamento EIBI, ha come scopo l’implementazione delle competenze cognitive, comunicative e adattive, e anche se in misura diversa rispetto alle precedenti competenze agisce anche sulla parte sociale e linguistica;
- il trattamento ESDM, integra le tecniche comportamentali a un approccio basato sullo sviluppo e sulla relazione, al fine di promuovere le abilità di apprendimento sociale fin dalla prima infanzia (tra le quali attenzione e motivazione sociale, condivisione dell’affetto, imitazione spontanea, attenzione condivisa, gioco congiunto, comunicazione verbale e non verbale).
Nello specifico, sono stati presi in esame 87 bambini con età media di 23 mesi e con diagnosi precoce di Disturbo dello Spettro Autistico. A questi bambini è stato somministrato un intervento comportamentale di tipo EIBI o ESDM, per 15 o 25 ore a settimana.
In particolare, i soggetti sono stati divisi in 4 gruppi, in modo da valutare l’efficacia delle variabili “tipo” e “intensità” di intervento. Tutti i gruppi sono stati sottoposti a intervento comportamentale in regime domiciliare o presso la struttura:
- un gruppo seguiva intervento ESDM per 15 ore a settimana
- un gruppo seguiva intervento ESDM per 25 ore a settimana
- un gruppo seguiva intervento EIBI per 15 ore a settimana
- un gruppo seguiva intervento EIBI per 25 ore a settimana.
L’ipotesi alla base dello studio è quella secondo cui il livello di ritardo nello sviluppo e/o la severità dei sintomi possano incidere negativamente sulla gravità del profilo di funzionamento globale, sulle capacità di comunicazione, sul livello di linguaggio ricettivo e sulle abilità non verbali. In particolare si è ipotizzato che un più lieve ritardo e/o una minore gravità dei sintomi dell’autismo, sia un predittore positivo di risposta al trattamento ESDM rispetto al trattamento EIBI, mentre una maggiore gravità è predittore di una risposta migliore con 25 ore di trattamento settimanale rispetto a 15.
I bambini oggetto di studio sono stati sottoposti a 4 valutazioni cliniche, che sono state condotte da personale qualificato, in un periodo di osservazione di 24 mesi (in particolare all’inizio dello studio, dopo 6 mesi, dopo 12 mesi e con un ultimo follow up a 24 mesi). Le valutazioni sono state eseguite con la somministrazione del test ADOS-2 modulo Toddler per quanto riguarda l’analisi della sintomatologia, e le Mullen Scales of Early Learning per quanto concerne il quoziente di sviluppo.
Dai risultati ottenuti di queste analisi emerge che, a differenza di quanto inizialmente ipotizzato, non ci sono divergenze in termini di efficacia né relativamente agli stili, né relativamente all’intensità di trattamento rispetto alle 4 variabili esaminate (severità di sintomi, comunicazione, linguaggio ricettivo, abilità non verbali).
I risultati ottenuti hanno dimostrato, inoltre, che la gravità del profilo sintomatologico di base non incide sull’outcome né relativamente al tipo di trattamento somministrato, né relativamente all’intensità in termini di numero di ore di terapia.
Infatti, solo prove marginali hanno dimostrato che la gravità iniziale del profilo sintomatologico può predire una performance migliore in risposta ad un trattamento più intensivo (25 ore settimanali).
Notevole importanza va riservata ad un dato, che ha rivelato che, indipendentemente dallo stile e dall’intensità del trattamento ricevuto, tutti i bambini hanno ottenuto un miglioramento delle performance in tutte le variabili analizzate.
Tornando alla domanda iniziale di molti genitori “che tipo di trattamento devo cercare per mio figlio e per quante ore alla settimana?”, alla quale questo studio ha cercato di rispondere, quello che sembra fondamentale e ciò che emerge da questa ricerca è la conferma che il trattamento intensivo e precoce è cruciale per supportare lo sviluppo globale dell’individuo, permettendo di apportare un cambiamento sostanziale del profilo sintomatologico dei soggetti con autismo.
Tuttavia la ricerca affannosa di uno specifico “stile” di trattamento più efficace appare, almeno da questa ricerca, di minore importanza, mentre ciò che è veramente fondamentale è garantire assolutamente interventi che siano “evidence-based”, di qualità e pensati a seconda dei punti di forza e debolezza del singolo bambino.
Integrando questi risultati della ricerca di Sally Rogers con la nostra esperienza clinica presso il Policlinico Tor Vergata possiamo affermare di essere in linea con quanto riportato in questo studio concludendo che spesso è importante “costruire su misura” e personalizzare un intervento terapeutico piuttosto che ricercare affannosamente tante ore di terapia che a volte hanno come effetto collaterale quello di stressare il bambino e fargli sentire il peso delle numerose richieste ambientali in gioco.
Rogers, S.J., Yoder, P., Estes, A., Warren, Z., McEachin, J., Munson, J., Rocha, M., Greenson, J., Wallace, L., Gardner, E., Dawson, G., Sugar, C. A., Hellemann, G. & Whelan, F. (2020). A Multisite Randomized Controlled Trial Comparing the Effects of Intervention Intensity and Intervention Style on Outcomes for Young Children With Autism. Journal of the American Academy of Child & Adolescent Psychiatry. DOI: https://doi.org/10.1016/j.jaac.2020.06.013
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Contributo scientifico: Team Autismo Tor Vergata
UOSD Neuropsichiatria Infantile, Policlinico Universitario di Tor Vergata