Buco Nero

Io madre prima frigorifero ora “medicocentrica”

Continua ininterrotta quella che abbiamo chiamato “La guerra di Gabriella La Rovere”.       Ora la vicenda è approdata in Tribunale per la prima settimana di luglio si aspetta la sentenza. Potrà Benedetta, figlia di Gabriella, veder riconosciuto il suo diritto di essere presa in carico da una struttura adeguata ai suoi problemi? O la qualità della sua vita futura sarà discriminata dalla necessità istituzionale di “contenere i costi” ? Aggiungiamo a quanto già detto e scritto questa ulteriore riflessione di Gabriella, che manifesta la sua incommensurabile amarezza per il muro di gomma su cui le tocca veder rimbalzare la sua fatica di aver felicemente e pienamente  fatto vivere fino a trenta anni una ragazza che secondo i medici non avrebbe superato i tre anni di vita.

 


Non è facile valutare il fatto che tutti i nostri pazienti hanno genitori molto intelligenti […] Un altro fatto risulta con grande chiarezza. Nell’intero gruppo sono molto pochi i padri e le madri davvero affettuosi. Per la maggio parte i genitori, i nonni e gli altri familiari sono persone fortemente assorte in astrazioni di natura scientifica, letteraria o artistica, e non manifestano un autentico interesse per le persone – Leo Kanner

La frase, così come scritta, non vuole essere una relazione di causa ed effetto, ma solo l’osservazione di alcune analogie. D’altronde, l’autismo ha una componente genetica. Purtroppo l’affermazione che i genitori dei bambini autistici fossero persone che per caso una volta si erano scongelati abbastanza per produrre un bambino, determinò l’opinione che ci fosse una causa psicologica alla base dell’autismo.

Nel 1993, quando mia figlia aveva un anno, la semplice osservazione del suo disinteresse nei confronti dell’ambiente circostante e l’ossessione per un sonaglio di gomma che sbatteva ripetutamente contro il mento, mi misero subito sul banco degli imputati, colpevole di essere una madre troppo attenta alla carriera. I miei accusatori avevano tralasciato un particolare: l’autismo di mia figlia era secondario ad una malattia genetica di base e perciò sarebbe stato più logico andare ad analizzare il quadro genetico dei genitori. Sfortunatamente all’epoca era stato identificato solo uno dei due geni responsabili della sclerosi tuberosa e l’unica indagine possibile era la RMN cerebrale per verificare la presenza di tuberi. Soltanto io mi sottoposi all’indagine, che risultò negativa, ma questo non fu sufficiente ad assolvermi, perché il sospetto della colpa mi ha accompagnato per molti anni, anche quando rinunciai al mio lavoro e a tutte le offerte che mi vennero in seguito rivolte.

Ho intrapreso un cammino diverso utilizzando gli studi scientifici al servizio della mia unica paziente; ho allargato il mio orizzonte addentrandomi nella pedagogia generale e in quella speciale; mi sono sempre aggiornata su quanto veniva scritto di autismo per dare il mio contributo in materia di cultura della neurodiversità.

L’accusa di essere stata causa dell’autismo di mia figlia ha recentemente lasciato il posto ad una colpa ancora più infamante: quella di volerla “rinchiudere” in una struttura nella quale è presente il medico h24, né più né meno di quanto da lei vissuto per trent’anni. Credo che l’istituzione manicomiale sia un ricordo del passato, così come credo che sia compito della società vigilare su ogni struttura che accoglie le persone più fragili. Andando a rivedere le notizie riguardanti i blitz delle forze dell’ordine nelle strutture che accolgono i disabili, non si può affermare che le residenze socio-assistenziali sia sempre al di sopra di ogni sospetto. Spesso le persone che ne fanno parte sono inadeguate, poco formate, hanno scelto quel tipo di lavoro come ultima possibilità, sono scarsamente retribuite, sono lasciate sole a gestire relazioni complicate con gli utenti, senza alcun sostegno da parte dei servizi territoriali.

Ogni genitore ha il diritto di scegliere il percorso che il figlio dovrà intraprendere senza essere giudicato, senza essere oggetto di insinuazioni, perché è il vero e unico esperto del proprio figlio. L’osservazione costante consente di stabilire una norma, una situazione che può essere definita di benessere, di assenza di malattia. Non c’è necessariamente bisogno di una laurea in medicina per capire se c’è qualcosa che non va. È anche certo che una laurea in medicina può fare la differenza, soprattutto quando si è avuta una grande formazione in semeiotica medica, come nel mio caso.

E arriviamo all’ultima chicca, all’ultima affermazione politically correct che sottende l’ennesima accusa: essere una madre medicocentrica. Per la collega che l’ha formulata doveva essere una colpa se il genitore che aveva di fronte non fosse stato un medico che invece, grazie ai suoi studi, aveva portato la figlia alla soglia dei trent’anni, quando la spettanza di vita che le era stata presentata alla diagnosi era di appena tre anni. Quante sterili parole a riempire un tempo in modo infruttuoso, quanto dolore inutile al già gravoso carico che ogni genitore si trova a sostenere dal momento della diagnosi. Avevo erroneamente pensato di essere sopravvissuta a Bettelheim senza sapere quanti figli aveva lasciato in giro.

Gabriella La Rovere

Redazione

La redazione di "Per Noi Autistici" è costituita da contributori volontari che a vario titolo hanno competenza e personale esperienza delle tematiche che qui desiderano approfondire.

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