Roditori di pensiero come topi sul formaggio
Ammetto di non avere argomenti per rispondere all valanga di persone che mi hanno (dal loro punto di vista) insultato e sbeffeggiato per un mio editoriale su La Stampa, dove esponevo la mia preoccupazione quando si comincia a elencare tra le “devianze” anche condizioni genetiche, modi di essere, patologie e fragilità. (i pezzo è qui sotto riportato leggetelo se volete farvi un’idea).
Non mi sembra un pensiero che sia difficile condividere, poi naturalmente ognuno può esprimere il suo punto di vista, però dal momento che il punto di partenza della mia riflessione era un tweet pubblicato nel bel mezzo di una campagna elettorale, anche poco stimolante dal momento che il risultato è già ampiamente prevedibile, ho osservato come si sia generata una corsa scatenata ad attribuirsi uno strapuntino sul carro del prossimo vincitore additandomi come esempio illuminante di un nemico dell’Idea ritenuta oggi vincente, tanto che sarebbe meglio si allontanasse dai confini patri.
L’immagine che mi è venuta in mente è quella di una torma di topolini che si buttano sul formaggio, lo addentano voraci per paura che quel dono di inaspettata cornucopia possa sparire o magari nascondere una possibile trappola.
Chi vuole guardi i commenti alla mia pagina Facebook in cui ho postato solo la locandina del pezzo o (qui sotto) il lancio Instagram de La Stampa. Chiaramente la stragrande maggioranza non ha nemmeno letto il pezzo, ognuno si è fermato a esprimere la sua solidarietà per la lesa maestà del pensiero che io avrei travisato e denigrato.
Sono stato bollato di essere comunista con il Rolex, uomo del PD, pensatore della ZTL con varie sfumature per accreditarmi come parte in causa nel dibattito elettorale (che non è tra le mie quotidiane attenzioni).
Qualcuno ha azzardato letture fisiognomiche della mia faccia, dei miei occhialetti tondi che mi classificherebbero in automatico come un nostalgico del comunismo trinariciuto. Qualcuno ha scritto persino: “tuo padre si rivolterebbe nella tomba…”. Con quale lungimiranza cimiteriale non so.
Poi naturalmente la schiera dei paladini della libertà di pensiero: “dove era Nicoletti quando migliaia di cittadini erano dicriminati dal green pass !” Che c’entra veramente un cazzo (scusate il francesismo) con quello che ho scritto ma alimenta lo spirito di appartenenza alla schiera dei prossimi vincitori. Poi infine la banalità della folla di quelli che, avendo letto la parola “valigia” nel sommario del pezzo, mi invitavano a partire per un viaggio possibilmente senza ritorno.
Non mi sono mai fatto un grande problema di scontrarmi con il pensiero comune. Ho vissuto da dissidente per nascita familiare i primi venti anni della mia vita, in una città in cui non professarsi nell’area di pensiero circoscritta da PC e Massoneria significava essere messi all’indice.
In seguito in quarant’anni di radio in diretta a partecipazione del pubblico mi ha abituato a misurarmi con ogni tipo di dissenso e a saper gestire la responsabilità di ogni mia affermazione o pensiero espresso. Come penso di essere capace ad argomentare per sostenere un mio punto di vista, sempre dichiaratamente disposto a sovrascrivere ogni mio convincimento se qualcuno mi avesse convinto a ripensare su quanto da me affermato.
Però confesso con senso di sconfitta che non saprei che dire di fronte a una così palese manifestazione di ottuso e famelico istinto di massa, una furia così meschina nel collocarsi in anticipo dove si immagina possa splendere il sole della vittoria a me fa molta tristezza, la farebbe comunque per chiunque stesse per conquistare il consenso totale e incondizionato del popolo.
Sono proprio queste reazioni che mi confermano la fatale coerenza con quanto ho scritto su La Stampa.
A QUALCUNO PIACE CACCIARE LE STREGHE
Quando in un Pese qualcuno comincia a indire crociate contro la “devianza” dovrebbe scattare un segnale d’allarme. Sarà forse perché a ogni elenco di devianti si accompagna sempre quel sentore di putridume che precede ogni gloriosa proclamazione della porzione eletta dell’umanità. Per questo ogni persona di buon senso ha per una attimo la tentazione di prepararsi a fare la valigia. Non solo perché chi si senta dalla parte del giusto sia obbligato a dire “viva i devianti”, piuttosto per timore che alla fine in ognuno di noi (e nelle persone a noi care) potrebbe essere scoperto il “segno” del deviante. Esattamente come gli inquisitori scovavano nelle streghe il segno del demonio.
Non è un’esagerazione, ognuno dovrebbe cominciare a riflettere su quanto potrebbe anche lui essere personalmente coinvolto in un possibile censimento dei devianti. Si dirà che m’importa, non bevo non mi drogo, non ho disturbi alimentari, non sono obeso, non passo le giornate chiuso in camera davanti a un computer. Alla fine sono fatti che non mi riguardano.
E’ la scrollata di spalle di chi evita di essere sincero con se stesso, già nel primo elenco superficiale e raffazzonato di “devianze”, su cui si discute da ieri, è dissimulata la volontà di separare modi d’essere giudicati “malati”, dalla parte presunta sana della popolazione. Non basti dire che tutto ciò che richieda un intervento clinico sia patologico, quindi non c’è nulla di scandaloso nel classificare una serie di comportamenti “malati”.
E’ la scusa vigliacca che mi sono sentito opporre tutte le volte che me la sono pubblicamente presa con illustri maestri di pensiero, di ogni orientamento ideologico, che usavano categorie della neuro divergenza per insultare i loro antagonisti. Anche allora mi veniva indicata la voce dell’enciclopedia Treccani che definiva “autismo” o “mongolismo”, dicendomi con stizza: sono termini medici, basta con questa mania del politicamente corretto!
Nessuno si poneva il problema che intere famiglie di persone in quello spettro venivano mortificate e caricate di uno stigma, solo per l’uso disinvolto della definizione di uno stato usato a guisa d’insulto.
E’ la leggerezza nell’accettare gradualmente come possibili le nette separazioni, tra gente sana e gente deviata, che a me fa paura. L’insistere apparentemente neutrale su un problema di “integrità”, è il lasciapassare a una società sempre più spietata verso la sua parte più fragile.
Nell’approssimazione con cui si definisce il “male” su cui intervenire, sembra quasi esserci un calcolo molto sottile. Il tossico o l’alcolista non è razionalmente categorizzabile con chi abbia un disturbo alimentare, eppure se messi tutti insieme nel calderone dei devianti possono rendere lecito che, in quel bollitore di umanità che fugge da uno standard aureo e definito, possano prima o poi entrarci anche i matti, i malati cronici, i disabili. Fino a sconfinare senza fatica ai dissidenti, ai reprobi, agli empi, ai peccatori tutti.
Puntare al consenso appellandosi a una parte della società da salvaguardare è la peggiore menzogna di ogni passato arruffapopoli. Sarebbe veramente di sollievo se lo scontro politico avvenisse su campi meno logorati dall’abuso, almeno per ciò che riguarda il proclamarsi, con uguale inconsistenza, difensori degli “eletti” come pure protettori (di maniera) dei reietti.
Gianluca Nicoletti (La Stampa del 23/08/2022)
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