Autismo e psichiatria evoluzionistica
Che cosa accadrebbe se il gene dell’autismo venisse eliminato dal pool genetico? Avresti un gruppo di persone in piedi in una grotta, che chiacchierano e socializzano senza fare nulla (Temple Grandin)
Gli studi più recenti stimano l’incidenza dell’autismo pari a 1:36 bambini, con un aumento delle diagnosi nell’età adulta. Rispetto a più di trenta anni fa, quando gli psichiatri erano ancora legati al concetto della “mamma frigorifero” e quando la psicomotricità era l’unico approccio riabilitativo, attualmente la maggior parte dei clinici non considera più l’autismo come qualcosa da curare, ma viene fornito il sostegno per le sfide che, di volta in volta, le persone autistiche si trovano ad affrontare, rispettandone l’unicità, le caratteristiche personali.
Un campo che mira a cambiare le prospettive scientifiche sull’autismo è la psichiatria evoluzionistica che pone i suoi obiettivi al di là delle cause biomediche (fattori genetici e ambientali) domandandosi invece perché alcune condizioni di sviluppo neurologico siano persistite nel tempo. La maggior parte delle teorie evolutive concettualizzano l’autismo come un profilo neurocognitivo caratterizzato da un compromesso tra costi (intelligenza sociale) e benefici (intelligenza non sociale); accanto alla capacità di sistematizzare, ossia di analizzare le variabili di un sistema e derivare le regole sottostanti che lo governano, c’è un cambiamento nell’empatizzare, ossia nella capacità di immaginare i pensieri e i sentimenti di un’altra persona rispondendo in maniera adeguata. Senza alcun dubbio, nella vita non si può avere tutto e, accanto al legame stretto tra autismo e occupazioni che richiedono una grande abilità a sistematizzare, ci sono le difficoltà di ogni giorno legate alla relazione con gli altri.
L’autismo è una condizione altamente ereditaria. Si pensa che migliaia di varianti genetiche contribuiscano alla probabilità dell’autismo; in particolare, molte di queste varianti, individualmente, hanno piccoli effetti e sono comuni nella popolazione generale. La maggior parte degli studi scientifici mette insieme autismo e geni associati per ottenere un valore che è il “punteggio poligenico”, ossia un numero che riassume l’effetto stimato di molte varianti genetiche sulle caratteristiche morfologiche e funzionali dell’individuo. Sebbene i punteggi poligenici per l’autismo siano associati alla probabilità che si manifesti, sono anche associati a vari aspetti delle capacità cognitive nella popolazione generale. Quindi, si possono possedere i geni legati all’autismo, senza per questo esserlo. L’affermazione porta a pensare che questi possano essere adattativi nell’evoluzione umana, il che in parte spiegherebbe l’aumento dell’incidenza dell’autismo, come se fosse in atto una progressiva trasformazione della società associata alle modificazioni dei rapporti sociali e degli sbocchi lavorativi, dove le lauree STEM (Science, Technology, Engineerig, Mathematics) sono tra le più richieste.
Allo stato attuale la psichiatria evoluzionistica esiste solo come disciplina accademica che studia come i processi evolutivi hanno modellato la mente umana e come determinate condizioni psichiatriche potrebbero essere meglio comprese come adattamenti o sottoprodotti della nostra storia evolutiva. Sulla base di questo nuovo approccio, i medici potrebbero aiutare le persone autistiche ad affrontare le sfide e come mettere a fuoco i loro punti di forza. L’autismo riflette variazioni nel cervello e nel pensiero, piuttosto che difetti che devono essere corretti, e questo si sposa con gli obiettivi portati avanti dal movimento per la neurodiversità che sostiene che le differenze associate all’autismo dovrebbero essere riconosciute e rispettate come una parte normale della diversità umana.
Gabriella La Rovere