Fare gli autistici con il cervello degli altri
È paradossale avere difficoltà nel definirsi senza farsi troppi nemici. Chiunque abbia come me ricevuto una diagnosi che lo colloca, ovunque sia, nello spettro dell’autismo deve fare molta attenzione a quello che dice di sé. Non basta un coming out secco e asciutto del tipo: “sono autistico!”, qualcuno avrebbe da ridire che è più corretto dire: sono una persona con autismo, non mettendo al centro quello che segna la differenza. Altri sarebbe di parere assolutamente opposto; perché mai bisognerebbe avere paura di un termine? Nella discussione si perderebbe un sacco di tempo, considerando poi che i contendenti sarebbero comunque autistici (o con autismo) sarebbe impossibile farli uscire dal loro tetragono convincimento. Peggio che mai usare giri di parole elusivi che impiegano sicuramente termini più carucci del secco “autistico”, hanno però il limite di deteriorarsi in brevissimo tempo. Sembrava figo dirsi “neurodiverso”, si provi a usare oggi questa definizione e si riceverà una marea di insulti, nemmeno ci fosse scappata una bestemmia. “Diverso” è una definizione che puzza di vecchio, (oddio ho scritto una cosa ageista!!!) comunque indicibile perché è stata sputtanata a sangue dall’abuso che ne ha fatto il pensare filo-vannacciano, quindi guai a usarla se non si vuole passare per reazionari. Va bene non siamo diversi, anche perché se passa il concetto della neuro diversità significa che anche i cosiddetti “normali” hanno cervelli diversi dai nostri e quindi sono pure loro neurodiversi.

Un bel casino, quindi da un po’ di tempo diciamo che siamo neuro divergenti, che fa tanto fico. È un temine inventato da Kassiane Asasumasu attivista americana che, bontà sua, fa battaglie per l’autismo. Potrebbe passare perché è generico, neuro divergente vale sia per chi nasce tale, come un autistico per esempio, per qualcuno però nemmeno questo è del tutto vero, meglio che non ci addentriamo nelle frattaglie delle letture psicodinamiche dell’autismo, perché ci incasineremo le sinapsi già abbastanza provate da circuiti anomali.
Come è pure vero che neuro divergente si diventa, è la fatale botta di rincoglionimento che a tutti in variabile intensità tocca con l’avanzare dell’età.
Qui ora a complicare tutto arriva Robert Chapman, persona autistica inglese che si esprime filosoficamente, non saprei come descrivere altrimenti chi si dichiari anche “no binary”, spero che nessuno si offenda ma credetemi già sto faticando a mettere insieme le idee su questo tema.
Chapman, che insegna Critical Neurodiversity Studies alla Durham University, ha pubblicato un nuovo corposissimo trattato sulla sua lettura “politica” dell’autismo, che ci costringe di nuovo a riflettere su ciò su cui la vita ci fa già sufficientemente riflettere. “l’Impero della normalità, neurodiversità e capitalismo”, ci ribadisce il fatto che esisterebbe quasi uno congiura eugenetica da parte del potere, che una volta era chiamato capitalismo, per livellare l’umanità su un modello standard.

Semplifico rozzamente, mi sembra però di aver capito che quella che una volta era la rivoluzione proletaria dovrebbero farla le persone autistiche, finalmente coalizzate dalla rete.
Insomma già cercare di “normalizzare” un figlio autistico, bello impegnativo come il mio, per dargli la minima possibilità di poter convivere con il resto del mondo, sarebbe una violazione al suo diritto di esprimersi liberamente, quindi un gesto anti rivoluzionario.
E’ suggestivo pensare alla rivoluzione dei pazzerelli, me la sogno sovente ma resta tra le mie fughe mentali e mai mi sognerei di proporla come una realtà possibile. Ho sempre detto e scritto che ci siamo evoluti grazie a “cervelli ribelli”, anzi nel “Manifesto dei Cervelli Ribelli” che scrissi anni fa con l’amica Michela Paparella lo dicevo con chiarezza. Non penserei mai però di proporre Tommy come sindaco di una città, non lo manderei a far lezione all’ Università, non direi che esprime un pensiero estensibile alla società tutta. Sulla leggiadria del suo esprimersi ho dibattuto a lungo e ancora lo osservo e misuro il mondo con i suoi occhi. Nessuno è più lontano di lui dal pensare neurotipico, troverebbe però il suo riscatto dalla lotta di classe degli autistici rivoluzionari? Sarebbe tenuto in considerazione una volta sconfitto il capitalismo neuro conforme? Purtroppo non credo proprio…
Lui non parla, si perderebbe fuori dell’uscio di casa, ha le paure e le fragilità di un bambino. Quando ha un attacco epilettico che non si ferma rischia di lasciarsi la pelle. Dovrei però lasciarlo a sé stesso, perché sono le terapie sugli autistici alla base di ogni più bieca repressione.
Verrà quindi un giorno che la rivoluzione degli autistici iper performanti abbatterà questo mondo biecamente neuro tipico. Bene, e quelli come Tommy dal cervello leggero come una farfalla? Dovranno sparire dalla circolazione, perché non vedo posto per loro in questo pur rispettabile arzigogolo, costruito su quelli che sono bravi a fare gli autistici con il cervello degli altri.



