Battiamoci per il diritto di autodeterminarsi dei nostri figli autistici
Il diritto di autodeterminazione è il riconoscimento della capacità di scelta autonoma e indipendente dell’individuo. La frase è stata il principio fondante della lotta femminista. Era assurdo pensare che una donna potesse scegliere di vivere la propria vita al di fuori dell’oligarchia maschile, potesse prendere decisioni che la riguardassero in maniera autonoma, potesse semplicemente dire di no.
Il diritto di autodeterminazione riguarda ogni persona, a prescindere dal colore della pelle, dal credo religioso, dall’ideologia politica e, soprattutto, dalla malattia. Perciò anche i nostri figli disabili, proprio perché si rivolge all’individuo e non alla patologia.
È soprattutto sulla scelta autonoma e indipendente che dovremo ragionare perché l’attuale normativa, con il riconoscimento dell’invalidità e l’accertamento dell’handicap, racchiude queste persone in spazi mentali collettivi che risultano comodi e rassicuranti a chi dovrebbe vegliare, non solo sui loro diritti, ma anche sui desiderata.
Quanto spesso i racconti fatti dai nostri figli vengono interpretati sotto l’ottica del deficit cognitivo. Per certi versi, non sono molto diversi dal fiume di parole, apparentemente senza significato, che un bambino di 2-3 anni esplicita e neanche dai comportamenti strani che inducono ogni buon genitore a riflettere su cosa possa essere successo per determinare un cambiamento così repentino. Da qui si mobilita tutto un team di assistenti sociali, psicologi, giudici per arrivare alla verità con la quale riempire i giornali e la bocca di conduttori di programmi televisivi che fanno della miseria umana il loro punto di forza.
Il racconto dei nostri figli invece non viene accolto, né compreso perché la certificazione dell’handicap li marchia a vita. È sempre frutto del delirio, del disturbo mentale, dei farmaci.
Mai la risposta a violenze che hanno subìto, mai conseguenza di abusi perpetrati quotidianamente. I giudici tutelari che in maniera baldanzosa difendono i diritti dell’infanzia violata, si nascondono dietro la certificazione, non guardano la persona ma solo la malattia. C’est plus facile. E così noi e i nostri figli dobbiamo ingoiare l’ennesimo rospo, perché la nostra battaglia è già persa ancora prima di iniziare.
Stessa riflessione sui desiderata, sulla capacità di dire ciò che si vuole. Anche qui viene loro negato il riconoscimento di essere persone, non una sigla, una diagnosi. Lo stesso team di paladini dell’infanzia rimane ferma a guardare, perché il disabile è tutt’altro, una specie a parte. È sufficiente che mangi, beva, dorma e non rompa le scatole. Non si può aspirare ad altro.
Ci sono sentenze di separazione che sono attenti ai desiderata dei cani ma non a quello che vogliono i figli con disabilità perché la certificazione abolisce il diritto a esprimersi e al giudice il dovere di ascoltare e comprendere.
Il diritto di autodeterminazione dei nostri figli è una battaglia civile che coinvolge tutti. Basta con le divisioni e le rivendicazioni sterili tra chi è più disabile e chi è meno, tra chi ha bisogno di essere accompagnato al bagno e chi invece deve essere imboccato, tra chi parla due lingue e chi con fatica esprime una frase di senso compiuto.
Le puntualizzazioni ripetute ossessivamente dai genitori servono solo a chi deve vegliare sui diritti di tutti per lavarsene le mani. Dobbiamo usare tutti i mezzi per consentire ai nostri figli di potersi esprimere e con la stessa determinazione dobbiamo cercare di capirli e di aiutarli a realizzare i loro desiderata.
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