Madri badesse…Non dite più a Gabriella quello che è bene per Benedetta!
Immagino che qualche badessa abbia telefonato a Gabriella per dirle che non doveva esporre così tanto quella “poverina” della figlia Benedetta, che si sta rivelando sempre più un vero genio delle percussioni. Hanno visto che ha trionfato al teatro di Budrio, e hanno chiamato la madre: “ma perchè esporla così agli occhi della gente”…Certo sarebbe meglio affidarla a loro che la tengono bella chiusa dentro il loro santo recinto delle anime sfortunate. Quando Gabriella ha sentito dirsi che era meglio che Benedetta non la facesse vedere in giro se le è fatte un po’ girare e ci ha scritto…(GN)
Prima o poi doveva succedere, è nel novero dei tanti bocconi amari che bisogna mandare giù, dei bruciori di stomaco che ti costringono ad andare in giro con l’antiacido nella borsetta.
I benpensanti si trovano sempre seduti, belli tronfi sul loggione e dall’alto dispensano consigli, alzate di sopracciglio, spesso bisbigli.
L’esperienza a Budrio è stata – a dir poco – entusiasmante, corollario di un anno di attività dell’associazione Dicore per sensibilizzare i giovani alla realtà dell’autismo. Dobbiamo smetterla di parlare di problema, prima sottolineatura di qualcosa che è altro, una vera rottura di palle.
La persona autistica è una persona e, come tale, con tappe di sviluppo identiche che si realizzano in tempi diversi. È una persona con un sistema comunicativo differente dallo standard, che noi ci ostiniamo a negare provocando, come è logico, quello che viene etichettato come comportamento problema. Immaginiamo allora di trovarci spersi in un paese di cui non conosciamo lingua, né scrittura, né tradizioni. Quale sarebbe la nostra reazione?
Benedetta è quella che è perché sono riuscita a trovare un modo comunicativo comune. All’inizio non è stato facile. Ricordo ancora la disperazione, la rabbia, la voglia di mollare tutto e andarmene. La svolta è arrivata quando mi sono messa da parte e l’ho osservata per tanto tempo. D’altronde era anche il mio mestiere. Nel momento in cui ho tolto ogni emotività da madre e ho indossato i panni di chi è abituato all’osservazione dei fenomeni, ho capito cosa dovevo e potevo fare.
Il suo talento musicale è un altro fatto obiettivo, ma anche questo non dovrebbe stupire se ci ricordiamo di avere di fronte una persona e non una malattia. Come ogni altro figlio, la persona autistica ha diritto a seguire le proprie inclinazioni per sentirsi felice e realizzato. In mia figlia opera l’ansia anticipatoria che le fa perdere di vista l’obiettivo e cioè la sua gioia nel suonare e divertirsi. È una cosa sulla quale sto lavorando da tanto tempo ma, nel caso di Budrio, ho pensato che tenere Benedetta all’oscuro di tutto fosse necessario alla sua tranquillità.
Grazie alla eccellente organizzazione congiunta di Orietta Zamagni e dell’associazione Dicore, Benedetta ha trascorso una giornata piacevole insieme a Laura, educatrice che il servizio scolastico regionale ha messo a sua disposizione. Benedetta ha capito che si sarebbe esibita solo quando, portata dietro al sipario, ha visto il suo professore Leonardo con i djembé e le due batterie montate. La gioia è stata indescrivibile e lei ha vissuto, con la giusta serenità, l’impatto di trovarsi di fronte la sala gremita di persone. Si è divertita e tanto. Al termine ha chiesto ai 500 studenti che avevano seguito rapiti la sua performance, che cosa era loro piaciuto di più.
Tornate a casa, ecco arrivare la telefonata che, al di là dell’informazione che ti viene data, serve a riportare un giudizio, una convinzione istituzionalizzata.
Ci tengo a dire, anche urlando se necessario, che Benedetta non è strumentalizzata, che – come medico prima e madre dopo – non è costretta a niente che possa nuocerle.
Con altrettanta forza affermo che bisogna cambiare tutta l’organizzazione di quello che in Italia sono i centri diurni. Non è pensabile che ci sia una proporzione 1 educatore per 6 o più persone con disabilità mentale perché si rischia di appiattire tutto e cercare di concludere la giornata più o meno decentemente. I laboratori che vengono proposti sono sempre pochi come numero, e quindi come scelta, e molto spesso non sono adeguati.
Se per un figlio normotipico e sano un genitore pretende il meglio, lo stesso deve valere anche per quello con disabilità mentale altrimenti siamo noi i primi a discriminarli. Ogni ragazzo autistico o con disabilità mentale ha la sua strada. Deve essere aiutato a percorrerla, sostenendolo nelle difficoltà come sto facendo da almeno 23 anni, dopo aver abbandonato la professione.
Sia chiaro che non permetterò più a nessuno di insinuare direttamente o indirettamente di essere delirante o sfruttatrice della fragilità di mia figlia