Quel tenerone di mio figlio che si caga nel letto
E’ passato qualche giorno dalla notizia del famoso casting in Rai in cui si cercano disabili che facciano tenerezza. Ricordo perfettamente la data del 25 maggio in cui la lessi per la prima volta qui da Boston, perché è capitato proprio il giorno in cui mio figlio, un tenerissimo disabile di quasi vent’anni, si è cagato addosso nel suo letto, nascondendo le sue feci nel cassetto delle magliette. Lui sa, il mio tenero disabile, che se se la fa addosso perde il diritto di avere il suo iPad per ore e ore, e cerca quindi di nascondere il “danno”. Tenero ma anche furbo e leggermente paraculo, se posso permettermi.
Il problema che non calcola, è che la puzza di merda si sente per tutto il corridoio e oltre. Una puzza tenerissima, come potete immaginare, come tenera è la mole di bucati da fare che ho io dopo aver pulito lui sotto la doccia e disinfettato la sua stanza, che invece ho perso il mio lato più tenero ormai da anni.
Perché è vero che alcune persone fanno anche tenerezza, disabili o no, per l’amor del cielo. Ed è anche vero che il viso morbido di mio figlio Luca, che accenna solo vagamente alla sua forma strana di sindrome di Down a volte fa anche tenerezza. Fanno tenerezza le sue carezze, fanno tenerezza i suoi modi quasi infantili di essere felice per una canzone, o per un piatto di patatine di McDonald’s. Oserei dire che è proprio la sua tenerezza che rende meno difficile occuparsi di lui 24 ore al giorno per il resto della mia vita.
Ma, e sicuramente chissà quanti di noi genitori l’ha già detto, tenerezza a parte, Luca e i suoi colleghi teppautistici sono persone estremamente complesse, che hanno enormi difficoltà a vivere (a volte a sopravvivere) in un mondo che ancora non è stato in grado di costruire un posto anche per loro dove sentirsi a proprio agio. È difficile essere come sono: lo è per loro e lo è anche per noi, che cerchiamo disperatamente di dare dignità alla loro vita, che diventa sempre più complessa con l’inesorabile passare degli anni, loro e nostro. Il ‘dopo di noi’ che per genitori di figli ‘normali’ ha in sé un gusto di orgoglio e fierezza, per noi è l’incubo più atroce. Lasceremo i nostri figli in mano a un mondo che li vuole solo se sono teneri? Per ora forse sì.
Ho deciso di cogliere l’occasione del casting per riflettere su quanto sia ancora lunga la strada da fare, in Italia ma anche nel resto del mondo, per costruire un modo di pensare al mondo disabile in maniera più realista, e mi chiedo se la responsabilità sia davvero solo in mano a noi che, teneramente, accudiamo i nostri figli. Oppure se anche la scuola, o le istituzioni, o i mass media sentano anche loro questa urgenza di sensibilizzare un gruppo di persone che vivono, silenziosamente, dietro a tanti muri di tante case. Dovremmo farlo tutti, secondo me: dovremmo parlarne di più, dovremmo far sapere a chi ci ascolta cosa significa, nelle difficoltà ma anche nelle gioie profonde, vivere la diversità e conquistarne la dignità dovuta, e i servizi necessari. Abbiamo tanto lavoro da fare, e forse ci vorranno generazioni prima di raggiungere un obbiettivo di cui andare fieri.
Intanto tiriamoci su le maniche ancora una volta e andiamo avanti per la nostra strada, coraggiosamente, senza perderci d’animo mai.
E teneramente, s’intende.
MARINA VIOLA
http://pensierieparola.blogspo
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- Questa è la sua storia: dal 1991, da quando cioé ha deciso di vivere con il suo fidanzato Dan. La loro prima casa era nel New Jersey, dove ha preso una minilaurea in grafica pubblicitaria. Ha tre figli: Luca, che ha quasi diciannove anni, ha una forma abbastanza drammatica di autismo e una forma strana di sindrome di Down; Sofia, che ha sedici anni ed è più bella di Liz Taylor, è un genio del computer e prende sempre cinque meno meno in matematica; Emma, che di anni ne ha solo otto, ma che riempie un silos con la sua personalità. Marina Viola odia le uova perché puzzano, ma per un maron glacé venderebbe senza alcun senso di colpa tutti e tre i figli. Ha una laurea in Sociologia presso Brooklyn College, l’università statale della città di New York. Da qualche anno tiene unblog in cui le piace raccontare alcuni momenti della sua vita. Ha scritto settimanalmente sul sito della Smemoranda (smemoranda.it) dell’America vista però in modo sarcastico e ironico.
A giugno del 2013 è uscito il suo primo libro, “Mio Padre è stato anche Beppe Viola”, edito da Feltrinelli. Nel suo secondo, “Storia del Mio Bambino Perfetto” (Rizzoli, 2014) racconta di Luca e dell’autismo.