Adriano Sofri ha scritto un editoriale su Repubblica dedicato a quelli che definisce: I professori di serie B”. Nell’articolo fa sua la battaglia di molti insegnanti di sostegno per l’ intangibilità del loro ruolo di generici supporti all’inclusione. Per molti di loro crea evidente disagio il cambio epocale che la “Buona Scuola” proporrebbe con l’ abolizione del sostegno “a tempo”, che può fare chiunque, molto spesso per un personale vantaggio. Si propone piuttosto la creazione di una carriera separata per sostegni specializzati, vale a dire formati con specifiche competenze nelle disabilità di cui dovrebbero occuparsi. Anche Sofri esprime una sua netta posizione critica verso tale rivoluzione, sostenendo che la prospettiva di sostegni professionisti preoccuperebbe molti genitori, oltre naturalmente molti insegnanti e pedagogisti.
Che gli insegnanti si preoccupino non mi stupisce, sarebbe la fine di una pacchia che permette a parecchi di loro (non dico tutti) di velocizzare con la scorciatoia del sostegno le loro carriere, facendo finta per un periodo di tempo di avere competenza nel trattare soggetti disabili. I pedagogisti preoccupati li terrei in considerazione ancora meno, probabilmente sono quelli che per mestiere offrono pacchetti di formazione “simbolica” per i futuri insegnanti di sostegno, per interventi sui disabili altrettanto simbolici. Quanto ai genitori preoccupati…Vorrei davvero conoscerli, soprattutto tra quelli che hanno figli con disabilità di tipo cognitivo e relazionale. Mi piacerebbe davvero sapere quanti si stanno preoccupando se mai potesse capitare in futuro di avere assegnato ai loro ragazzi un insegnante di sostegno che sappia, una volta tanto, come comportarsi con autistici e loro derivati. Ancora più spietato è il passaggio dove Sofri scrive che il sostegno non dovrebbe essere “forzato” verso una scelta “irreversibile” tanto che: “se l’insegnante di sostegno scopre di non farcela, di mancare di idee e stimoli, è meglio che possa cambiare, passando alla sua materia, piuttosto che restare nel sostegno per obbligo normativo.” Trovo desolante che un intellettuale che si è sempre fatto bandiera della salvaguardia delle categorie più oppresse, arrivi a sostenere una battaglia corporativa per difendere un privilegio acquisito, di fronte alla prospettiva di un bambino disabile che ha nella scuola la sua maggiore chance di affrancarsi il più possibile da un futuro di emarginazione sociale.
Occuparsi di un ragazzo come il mio caro Sofri non è una simpatica esperienza da provare per sentirsi migliori, non è come un corso di Tai Chi o qualche giorno di volontariato in periferia. Soprattutto non deve occupare un insegnante a patto che riesca a suscitare idee e stimoli, salvo poi mollare tutto quando si accorge di non essere adatto a quel lavoro. Parlo dei disabili che conosco per mia personale esperienza che sono gli autistici, sono anche quelli che maggiormente affollano le classi delle scuole italiane, posso dirti con sincerità che noi genitori sono anni che speriamo di incontrare insegnanti di sostegno che abbiano anche solo una minima idea di cosa sia la sindrome che è toccata ai nostri figli.
Ma quali idee e stimoli? Ci basterebbe avere a che fare con persone che abbiano seriamente studiato come trattare l’autismo e che siano capaci di esser tramiti reali tra le difficoltà dei nostri figli e la classe di neurotipici in cui sono inseriti. Non ne possiamo più di telefonate a casa perché il ragazzo è agitato, di vedere i nostri figli buttati in un corridoio, in un cortile, di dovere essere noi a spiegare, a convincere, a pregare come fosse una carità di non tenere i ragazzi in parcheggio durante l’orario scolastico con la scusa che nessuno sa esattamente come comportarsi con loro. Ci sono tantissime persone capaci, che hanno studiato, che questo fanno per passione e sono convinti che sia il mestiere della loro vita. Assumete questi nelle scuole e vedrete che l’ inclusione smetterà di essere, almeno per noi autistici, solamente una bella legge di cui essere fieri. Se non abbiamo un sostegno specializzato professionalmente, e di continuo aggiornato, nostro figlio sarà sempre visto come un disturbo, un impiccio al lavoro di classe. Nella migliore delle ipotesi sarà tollerato per misericordia, ma sempre con estrema umiliazione per lui e per noi.
E’ possibile che a fronte di un tema così estremo, come l’esistere sociale di esseri umani venga, considerata prioritaria la soddisfazione sindacale dei professori? In realtà le famiglie sono così sfibrate dalla gestione quotidiana, come dalla loro battaglia per la sopravvivenza, che nemmeno hanno voce per farsi sentire. Tutta questo dibattito sembra passare sopra la loro testa, anche il raffinato editoriale che vorrebbe convincerli che le aspirazioni professionali della categoria degli insegnanti è più importante della vita dei loro figli. Siamo stanchi di tollerare che i nostri ragazzi disabili siano il pretesto per giustificare la presenza in classe d’insegnati svogliati, che non nascondono nemmeno d’essere costretti a sopportarli. Non dico che non ci siano moltissimi di loro che sono invece animati da ottime intenzioni, ma anche in quel caso non hanno strumenti professionali adatti per intervenire dove non basta il buon cuore. Un educatore per essere formato ha bisogno di anni di studio e di continue verifiche, non basta un corso mordi e fuggi.
Sofri poi appoggia il suo giudizio sulle tesi della professoressa Daniela Boscolo di Rovigo (la migliore prof del mondo), sicuramente un’eccellenza in campo nazionale per i suoi fantastici progetti d’inclusione, ma che lascia di stucco quando dice: “Noi siamo docenti, la scuola non è un ospedale né un centro diurno come qualcuno vorrebbe diventasse, con l’insegnante specializzato trasformato in una specie di balia con l’unico compito di contenere la persona con disabilità”. Mi rende orgoglioso d’essere italiano leggendo che la Fondazione Varkey abbia inserito la prof Boscolo fra i “50 migliori insegnanti del mondo” -come l’amico Adriano ci ricorda- ma le sue parole mi feriscono a sangue, assieme a me immagino risultino odiose anche alle seicentomila famiglie con un soggetto autistico a carico. Penso che saremmo in molti a voler chiedere alla professoressa Boscolo (oggi docente di insegnanti di sostegno) cosa secondo lei debba fare allora la scuola per “contenere” i nostri figli che sono autistici a “basso funzionamento”, non parlano, non sono interessati generalmente alle lezioni scolastiche, possono avere crisi oppositive. Possono solo essere parcheggiati, a meno che farli trattare da educatori esperti in analisi del comportamento che sappiano addestrarli alla relazione con metodo e pazienza. Altrimenti la risposta non può essere che una- teneteveli a casa perché nella scuola pubblica non c’è posto per loro, ci sono tanti meravigliosi insegnanti pieni di titoli, di verve, di stimoli, di progettualità, di apertura al nuovo…Ma purtroppo nessuno che abbia studiato come si tratti un autistico, ci dispiace-.
Devo ancora una volta concludere che, quando si parla di autistici e similia, l’atteggiamento radikal salottiero fa la pari con il peggior clerical bacchettonismo. Mi cade a proposito mentre scrivo la notizia del Vescovo, anche lui a Rovigo, che ieri ha chiesto di allontanare un ragazzo disabile dalla chiesa perché, in un momento d’euforica felicità, secondo il presule disturbava la funzione liturgica dei cresimandi. Sia che venga da illuminati pedagoghi, che dall’ammuffita spietatezza di un prete all’ antica il messaggio resta uno solo: qui non c’è posto per voi!
E quindi ancora una volta noi autistici dobbiamo sentirci più profughi di ogni categoria di profughi. Non importa alla fine qualcosa c’inventeremo, il nostro sguardo bislacco avrebbe fatto bene anche a voi, oramai non più capaci d’ inventarvi qualcosa che non abbia quell’odorino di vecchi abiti conservati in naftalina.
ps
Per favore questa volta gli indignati e code di paglia evitino le solite roboanti proteste per chi come me “getta fango sulla categoria”. Chi si sente fuori dalla congrega dei sostegni furbacchioni stia tranquillo ha tutta la mia stima e affetto ed eviti le difese di categoria. Quando sento dire o leggo che molti giornalisti fanno male il loro lavoro non mi offendo, penso che possa essere vero, ma bado a fare al meglio e seguire l’ esempio dei miei migliori colleghi.